ASSASSINO” DI PIAZZALE LOTTO - Misteri d'Italia
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onestamente. E ci sarei riuscito o almeno lo credo, se la sfortuna non mi avesse<br />
sgambettato in malo modo. Persi l'impiego, senza averne colpa. È la verità. Non me<br />
ne importerebbe niente di ammettere la «gabola», al punto in cui sono. Se ti pesa<br />
addosso una fedina penale nera di reati, rifarsi una vita è la cosa più ostica del<br />
mondo. Mi ributtai nel «giro». Campai d'espedienti, come al solito. Tutto filò liscio<br />
per un po'. Poi, mi fermarono al volante di una Giulia rossa fiammante. Era rubata.<br />
Guarda caso, me l'aveva prestata un amico, proprio la sera prima. Ma vai a dirlo. Era<br />
vero. Ma non potevo spiattellare nome e cognome dell'altro. Non sono un<br />
«infamone». Risultato: due anni di San Vittore, per furto pluriaggravato e recidiva<br />
specifica infra-quinquennale.<br />
Questo è il mio ruolino di marcia. Tutto è incominciato quel giorno a Vibo, quando lo<br />
Stato si prese cura di un bambino che aveva grattato sessantamila lire alla zia. Sono<br />
stato rieducato. Mi hanno redento. Adesso mi condanneranno per omicidio. Domani,<br />
al processo, verrà fuori la tendenza a delinquere, come se fosse un'indole nativa, un<br />
fatto del sangue, una questione genetica. Perché i signori in toga non fanno un<br />
piccolo esperimento sulla pelle delle loro famiglie? Hanno un figlio di dieci-undici<br />
anni che fa un po' disperare in casa? Provino ad affidarlo per un annetto al<br />
riformatorio di Catanzaro o ad un altro qualsiasi «istituto di rieducazione». Aspettino<br />
che passi il periodo d'incubazione. Poi avranno le carte in regola, per parlare di indole<br />
delinquenziale.<br />
Comunque, è fatta. Dopo tutta una giovinezza di meritato «sole a strisce», per la<br />
prima volta sto vivendo in carcere l'esperienza dell'innocenza. Qui dentro è uno stato<br />
d'animo assai più avvelenante della colpevolezza. Adesso, mi condanneranno a<br />
viverla, quest'esperienza, a tempo indeterminato. E non c'è niente di più spaventoso<br />
di un'innocenza che diventa reato.<br />
Mercoledì 14 maggio. Quinta udienza. Potevo restarmene a San Vittore: tanto tutto è<br />
già scritto. Ma non voglio si possa pensare che me la faccio sotto. Il conto alla<br />
rovescia verso l'ergastolo è ormai agli sgoccioli. Oggi, la requisitoria del pubblico<br />
ministero gli darà una buona accelerata. Nell'aula c'è tensione. Ma non è come due<br />
giorni fa, quando, fuori dalla porta, aspettavano di fare il loro ingresso Italo Rovelli e<br />
Marcello Dal Buono e si sapeva che sarebbe stata la udienza-chiave del processo. Il<br />
settore del pubblico è semivuoto. Ormai, il nostro spettacolo ha un finale scontato:<br />
non fa più presa.<br />
Mio padre è seduto al solito posto. Mia madre non ha retto. L'hanno portata in clinica,<br />
con una crisi cardiaca. Del resto, meglio che non assista a questa lenta «morte civile»<br />
di suo figlio. Sono gli addetti ai lavori a darmi la sensazione di uno strano, eccitato<br />
fermento. Al centro del pretorio, i patroni di parte civile, il pubblico ministero e i<br />
miei difensori parlottano fittamente. Sarà una di quelle incomprensibili faccende<br />
procedurali. Ma perché i miei avvocati, dopo tante batoste, sono così arzilli? Valle si<br />
stacca dal gruppo e mi viene vicino: «Stai su», dice, «stai su. C'è un fatto nuovo. È<br />
una faccenda grossa... » Non può spiegarmi altro: sta entrando la corte.<br />
Il presidente Del Rio prende posto: «Signori», dice, «il professore Gian Domenico<br />
Pisapia mi telegrafa quanto segue: “Prego sospendere il processo contro Pasquale