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ASSASSINO” DI PIAZZALE LOTTO - Misteri d'Italia

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saggiare le mie reazioni. Poi parlammo del diario che già aveva fatto sudare il<br />

cervello del colonnello Bello, impegnato in un'audace opera d'introspezione<br />

psicologica. Mi interrogò sul significato di certe frasi.<br />

Quel mio diario è qualcosa di molto infantile: enfatiche lettere a ragazze, pensieri che<br />

mi parevano sublimi, filosofia a buon mercato, vanterie e abbandoni alla mitomania.<br />

Niente di diverso, credo, dagli sfoghi, dalle lettere d'amore e dai tentativi letterari di<br />

tutti i ragazzi, se si esclude l'aggravante della grafomania tipica dei carcerati e<br />

dell'ignoranza, dell'incerta sintassi, della puerilità di chi ha finito le elementari in una<br />

casa di rieducazione e più in là non è andato. Ma lo psichiatra gli attribuiva una<br />

grande importanza.<br />

Qualche seduta e, oplà, un responso di «personalità psicopatica di tipo misto,<br />

istrionico e mitomaniacale». L'anticamera, insomma, della seminfermità mentale. Può<br />

darsi che il perito, forse convinto della mia colpevolezza, abbia inteso darmi una<br />

mano. E di ciò, eventualmente, lo ringrazio. Può darsi che sia davvero affetto da<br />

istrionismo e da mitomania. Ma io quella perizia l'ho vissuta. Non credo sia<br />

scientifico patentare di psicopatia un poveraccio senza tenere conto delle condizioni,<br />

delle circostanze, del terrore che lo stravolgono, senza mettere sulla bilancia il suo<br />

sentirsi violentato, beffato.<br />

Del resto, nella sentenza di rinvio a giudizio - l'ho sottomano - si legge: « ... la perizia<br />

d'ufficio dice in sostanza che l'imputato è sano di mente, anche se socialmente<br />

pericoloso [...] L'unico e indiscusso elemento, che si può dedurre dall'elaborato<br />

peritale e da tutte le documentazioni medico-specialistiche allegate agli atti, è che<br />

Virgilio Pasquale è un delinquente per tendenza». Ecco come è andata a finire la<br />

«concessione». È servita a giustificare l'incongruenza della tesi accusatoria, perché un<br />

po' maniacale il perito dice che lo sono, e, nel contempo, ad aggravare l'imputazione<br />

con un richiamo all'articolo 108 del codice penale, quello della tendenza a delinquere.<br />

La perizia fu l'unico fatto nuovo dei mesi che conclusero quel dannato 1967.<br />

L'istruttoria era ormai agli sgoccioli. Il giudice aveva continuato a battere il chiodo,<br />

perché mi decidessi a confermare la «spontanea» confessione. Io avevo ribadito a non<br />

finire la mia innocenza, alternando le suppliche alle esplosioni di rabbia. Ma la tesi<br />

della mia colpevolezza aveva superato a pieni voti l'esame del sopralluogo e si<br />

avviava, a passo burocratico, verso il rinvio a giudizio dell'imputato. Proprio non<br />

potevo sperare in un improvviso cedimento del fronte accusatorio.<br />

Entrai, così, in un cupo 1968. E, subito, cupo lo divenne ancora di più. A metà<br />

febbraio, la malasorte, stimolata dall'assiduo e unilaterale lavoro degli inquirenti, mi<br />

diede un altro colpo, si rifece viva nella persona di Mario Botticini. Era piovuto nelle<br />

braccia dell'accusa un secondo teste a mio carico, un nuovo signore privo di dubbi nel<br />

vedere in me chi aveva tentato di rapinarlo alle diciotto e trenta di quel 9 febbraio<br />

1967, vale a dire sette ore prima del delitto. Poteva servire, non tanto per appesantire<br />

la mia già pesantissima imputazione, ma per chiudere il quadro e rendere più<br />

credibile il movente dell'omicidio: la spasmodica necessità di denaro in vista del<br />

carnevale. Una fame di quattrini che mi avrebbe spinto, per tutta la giornata, a girare<br />

da un capo all'altro di Milano alla ricerca dell'occasione propizia e che, all'una e

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