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ASSASSINO” DI PIAZZALE LOTTO - Misteri d'Italia

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criminale, avrebbe significato mettere in evidenza, nella natura e nella tecnica della<br />

tentata rapina e dell'omicidio, un dilettantismo non in linea con la mia esperienza.<br />

Ma guai a nutrire e a insinuare dubbi, quando la ciambella è riuscita col buco e il<br />

buco è rappresentato da un balordo che ha un'oscura fedina penale. Meglio immolare<br />

sull'altare di una stolida, monolitica certezza i testi a discarico, l'evidenza, persino il<br />

senso del ridicolo. C'è sempre tempo per battersi il petto all'insegna dell'errore<br />

giudiziario: una comoda etichetta che troppo spesso viene usata per far passare come<br />

fatalità qualcosa di ben più grave. Così, l'accusa non ha barcollato e, adesso, mi<br />

scodella in un tribunale con la mia storia di delinquente abituale e con il romanzo di<br />

diciotto ore che non ho vissuto. Non sarà facile cavarsela. Dovrei, per sperare, avere<br />

fiducia nella giustizia, credere al luogo comune «la legge è uguale per tutti». Ma<br />

proprio non posso. La giustizia, in questi due anni, mi ha già mostrato un'altra faccia.<br />

Dovrei illudermi che la legge del tribunale abbia un volto diverso.<br />

Ma da qui, da questa cella proprio non ce la faccio.<br />

Domani comincia. Questa notte è lunghissima, non passa mai. Una sigaretta dopo<br />

l'altra e un continuo avanti-indietro, nei tre metri quadrati della cella, a ruminare<br />

pensieri e paure. Che ore saranno? Non dev'essere molto tardi. È ormai primavera<br />

inoltrata e la finestrella della «bocca di lupo» è aperta. Dall'esterno, dal mondo,<br />

arrivano qui dentro lo stridio delle gomme sull'asfalto, le stonature dei motori nel<br />

«fuori giri», dei cambi punta-tacco. In carcere ci si attacca a tutto, ai più consueti<br />

rumori della città per continuare a vivere. E si impara che a ogni rumore corrisponde<br />

un'ora. Ecco, adesso sarà poco più tardi di mezzanotte. Questo non è il brontolio<br />

compatto del traffico. Ci devono essere in giro poche automobili, quelle di chi torna<br />

dal cinema e sa di poter prendere in velocità la curva fra viale Papiniano e via di<br />

Porta Vigentina.<br />

In cella sono da solo. L'ho voluto io. In galera, se ti fai i cavoli tuoi, se stai nel tuo è<br />

tutto di guadagnato. C'è anche un motivo psicologico. Qui non è come fuori. Se hai<br />

un compagno, ti ci affezioni. Poi capita che quello esce e, allora, la solitudine diventa<br />

insopportabile. Certo, è bello vedere un amico tornare alla vita libera. Ma è anche<br />

duro, terribile, quando ti pende sulla testa l'ergastolo e rischi di rimanere dentro sino a<br />

che non arriva il momento di uscire a piedi in avanti verso il cimitero. Del resto, ho i<br />

nervi a pezzi. Sono sfibrato e non riuscirei a sopportare neppure la compagnia di un<br />

amico.<br />

Potrei buttarmi sul pagliericcio e tentare di addormentarmi. Ma non ce la farei. Poi<br />

non lo voglio. Devo pensare, prepararmi, ripassare il mio caso, mettere un'altra volta<br />

a fuoco tutta la vicenda. In due anni di galera, ho imparato a ricostruire il mio<br />

febbraio 1967. Più ricordo e più posso battagliare. Quando m'hanno preso (erano<br />

passati quarantatré giorni dal delitto) non riuscivo proprio a quadrare la giornata e la<br />

notte del 9 febbraio. Annaspavo. A forza di spremermi il cervello, ho recuperato un<br />

po' di cose dalla memoria. La normalità non segna a fuoco il ricordo.<br />

Quel 9 febbraio, avevo bighellonato e basta, come mi capitava da quasi due<br />

settimane, da quando cioè l'ospedale militare di Udine mi aveva mandato a casa con<br />

una licenza di convalescenza di quaranta giorni per «stato ansioso incaratteriale, crisi<br />

di claustrofobia e stato depressivo». Ero sotto le armi da circa sei mesi. M'ero

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