ASSASSINO” DI PIAZZALE LOTTO - Misteri d'Italia
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pomeriggio, ma ovviamente più circostanziato e senza veli sulle identità. A cavallo<br />
fra il 1966 e il 1967, Marcello Dal Buono frequenta Gianni Nardi, rampollo della<br />
borghesia industriale. A Casa del Nardi conosce Giancarlo Esposti e un certo Roberto<br />
che chiamano «il parà». L’amicizia fra i quattro trova un coagulante nella comune,<br />
pronunciata simpatia peri movimenti di estrema destr, nel vagheggiare soluzioni forti<br />
in bilico tra i nazismo e il fascismo. Marcello è il più tiepido del gruppo. Gli altri<br />
meditano di costituire una «cellula» eversiva, di cimentarsi nell’azione.<br />
Una sera del febbraio 1967, i discorsi di strategia politica toccano il problema pratico<br />
dei finanziamenti. Roberto «il parà» si dice pronto a rastrellare quattrini con una<br />
rapina. Marcello ascolta passivo. E rimane passivo anche quando vede spuntare una<br />
pistola che qualcuno consegna al «parà». Due giorni dopo, muore assassinato<br />
Innocenzo Prezzavento. I quattro si rivedono. L’atmosfera è tesa. Nardi riferisce<br />
all’ignaro Marcello che l’assassino è Roberto e gli affida due canne di rivoltella<br />
perché le occulti. Marcello le getta nel Lambro, un fiumiciattolo alla periferia della<br />
città.<br />
Qui finisce lo «sfogo» di Dal Buono. «Il rimorso non mi lascia più vivere», aveva<br />
detto a Cillario. «Per questo ho deciso di parlare. Non ne posso più. Ho il sistema<br />
nervoso a pezzi. Adesso sono pronto a vuotare il sacco anche con la polizia».<br />
L’avvocato lo aveva accompagnato alla squadra mobile.<br />
«Ora», concluse Cillario, «non rimane che aspettare. Qualcosa succederà. La polizia<br />
ha aperto un'inchiesta. Forse hai finito di soffrire».<br />
Non ho affatto finito di soffrire. La «bomba Dal Buono» è scoppiata invano. Gli<br />
inquirenti si sono volontariamente tappati le orecchie e gli occhi. Io mi sentivo già<br />
libero, vivevo giorni beati d'illusione. Ma puntuale arrivò la contromazzata: l'ordine<br />
della procura di non dare corso all'inchiesta sulle rivelazioni di Marcello Dal Buono,<br />
per non turbare l'ormai imminente processo a mio carico.<br />
Adesso ci siamo. Fra poco mi verranno a prendere con le catene. Non hanno voluto<br />
sentire ragioni ed è proprio inutile sperare nello stellone. Le funamboliche intuizioni<br />
del colonnello Bello, la prodigiosa, zelante memoria di Italo Rovelli, le fantasie<br />
emotive di Mario Botticini sono oro colato. Mentre è merda la travagliata confessione<br />
di Marcello Dal Buono, è merda la mia innocenza. E, allora, che cosa cambia se, in<br />
questi giorni di vigilia di processo, il racconto di Marcello ha trovato un grosso avallo<br />
morale?<br />
Per aggirare il «no» della magistratura, i miei difensori hanno citato come testi<br />
Marcello Dal Buono, Gianni Nardi e Giancarlo Esposti. I giornali hanno pubblicato la<br />
notizia ed è uscito allo scoperto il padre di Marcello, l'ingegnere Bruno Dal Buono. Il<br />
mattino stesso in cui i quotidiani riportano la notizia della citazione, Bruno Dal<br />
Buono telefona a Cillario. Lo accusa di sfruttare un malato di mente. «Marcello»,<br />
dice, «è appena uscito da una casa di cura. Evidentemente si è inventato tutto».<br />
Qualche ora dopo, totale rovesciamento della situazione. Bruno Dal Buono si<br />
presenta nello studio dell'avvocato. È sconvolto, schiantato. «Purtroppo», dice, «è<br />
tutto vero. Marcello me lo ha confermato, piangendo. Lei può immaginare il mio<br />
dolore. Ma la prego di andare al fondo di questa vicenda. Soltanto ora capisco la