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ASSASSINO” DI PIAZZALE LOTTO - Misteri d'Italia

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per lo meno, una decina d'anni rubati all'ergastolo. Il presidente aggiorna l'udienza.<br />

Siamo agli sgoccioli. Il «bruto di Bollate» avrà la sua aula alla data fissata.<br />

Sono stanco. San Vittore ha già spento le luci. È passato il secondino per il controllo.<br />

Me ne sto steso sul paglione. Ormai, è tempo perso pensare al processo. Non occorre<br />

più che mi studi le varie fasi del dibattimento, per essere pronto a sfruttare le<br />

incrinature. Non serve più che analizzi il procedere della macchina giudiziaria, perché<br />

mi ha già stritolato. Del resto, ho la testa rimbambita di emozioni, di rabbia, di<br />

drammatico stupore. Questa notte è anche peggio della prima, quando, due anni fa,<br />

mi scaraventarono ai «topi» con le ossa rotte dalla «spontaneità» della confessione. Il<br />

male l'ho dentro, nel cervello. Non sono neppure capace di dolore, di disperazione.<br />

So soltanto che ho chiuso.<br />

Domani, il pubblico ministero farà il suo mestiere: ergastolo o giù di lì. I miei<br />

avvocati? Possono unicamente puntare sulla loro abilità dialettica, nel tentativo di<br />

obbligare i giudici ad affacciarsi sui vuoti dell'istruttoria, sulle carenze del processo,<br />

sugli abissali pregiudizi che hanno reso sterili tutte le nostre istanze. Ma - ne sono<br />

certo - le loro parole non arriveranno al pretorio.<br />

Mi condanneranno. Doveva succedere: per un pregiudicato, l'innocenza è troppo<br />

spesso un bene che non si può riscuotere. Ci sarà - sono pronto a scommetterlo -<br />

gente che penserà: «Lui dice che gli hanno estorto la confessione. Sarà anche<br />

innocente. Ma che importa? Ha sempre vissuto da delinquente. Forse non ha ucciso il<br />

benzinaio. Ma tanto, prima o poi, pellacce come la sua finiscono per uccidere. Hanno<br />

fatto bene a toglierlo di mezzo. La società deve pure difendersi!» Io non ho mai<br />

ammazzato, non ho mai usato la pistola. Sono stato ladro, svaligiatore, rubamacchine.<br />

Avrei potuto essere di peggio, perché la società che io ho conosciuto è un'accurata<br />

catena di montaggio del perfetto delinquente. Lo Stato mi ha preso da bambino e mi<br />

ha allevato al riflesso condizionato del crimine, come un pollo al riflesso<br />

condizionato del pastone quando si accende una luce.<br />

Avevo undici anni. Vivevo, con mia madre, a Vibo Valentia: la cittadina dove sono<br />

nato nel 1942. Mio padre era lontano. Non lo vedevo da molti anni. Si tirava avanti<br />

con i denti. Non ero un figlio modello. Niente di terribile, però. Stavo per finire le<br />

elementari, dopo essere stato bocciato in terza e in quinta. La mamma sgobbava a<br />

servizio. Di pomeriggio andavo da mia zia Nuzza. Era vedova e si guadagnava la<br />

giornata, conciando pelli di capretto. Quando doveva uscire, davo un occhio alla sua<br />

mercanzia stesa al sole. Un giorno, feci il passo determinante della mia vita. Poteva<br />

essere una semplice bricconata. Fu, invece, l'inizio della mia carriera. Vollero che lo<br />

fosse.<br />

In uno dei due cinema di Vibo, si proiettavano I tre moschettieri. Morivo dalla voglia.<br />

Ma non avevo i soldi. Sapevo che la zia teneva i propri risparmi nel primo cassetto di<br />

un cassettone con il ripiano in marmo. Era naturalmente chiuso a chiave. Tentai di<br />

attaccare la serratura con una forcina. Niente. Allora, presi un calzascarpe e lo infilai<br />

fra il legno e la lastra. Riuscii a sollevare il marmo, tanto da farci passare un manico

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