ASSASSINO” DI PIAZZALE LOTTO - Misteri d'Italia
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serale di Silvana). Ma il 9 febbraio, la data incriminata, era ancora vergine di ricordi.<br />
Mi pareva proprio di non essere uscito la notte del delitto, di averci piantato dentro un<br />
lungo sonno. Ma rimaneva una sensazione. Insomma non avevo un alibi decente.<br />
Dovevo ancora scavare nella memoria. Non è facile, quando ti attanaglia il terrore di<br />
non cavartela, di fotterti trent'anni di vita proprio perché non ricordi, perché<br />
l'angoscia offusca i pensieri.<br />
Andava male. Ma sarebbe andata anche peggio. All'indomani, il 28 febbraio, esco dai<br />
«topi» per il riconoscimento all'americana. Da tre giorni ero in cella di isolamento,<br />
schiacciato dall'incubo, insonne per l'aggrovigliarsi dei pensieri. Ero sbattuto: uno<br />
straccio d'uomo. La tensione, la rabbia mi avevano scavato un solco nero tutt'attorno<br />
agli occhi. Avevo la barba lunga. Non mi ero potuto cambiare. Vestivo ancora la<br />
camicia e i calzoni della divisa: roba sporca, stazzonata, macchiata anche di sangue<br />
delle gengive. Ai piedi avevo scarponcini militari senza stringhe. Per di più mi<br />
avevano infagottato in un cappotto che mi stava largo e mi arrivava a metà polpaccio.<br />
Lì per lì non ci feci caso. Poi lo riconobbi, era il cachemire spigato color fumo di<br />
londra che mi aveva regalato Michele verso il 16-17 febbraio. Per me era fuori<br />
misura. Ma la stoffa valeva la pena di portarlo a stringere.<br />
Così conciato, mi mettono insieme a un gruppo di damerini: camicia bianca, cravatta,<br />
calzoni stirati, visi rasati di fresco, orologio, scarpe specchianti. Carabinieri in<br />
borghese: tutti tirati a lucido come per un matrimonio. Scelgo il quinto posto da<br />
sinistra nella fila. Non mi tremano le gambe. Ma ovviamente non sono tranquillo. Un<br />
povero cristo in mezzo a giovanotti parati a festa: il testimone oculare dell'omicidio<br />
avrà ben poche alternative. Oltretutto nessuna fra le mie «controfigure» appartiene,<br />
come faccia e come fisico, al mio tipo somatico.<br />
Di fronte a noi, ecco, si apre uno spioncino. Qualcuno ci guarda lungamente. Poi,<br />
entrano una decina di persone, con alla testa il comandante Francesco Paolo Bello. Si<br />
fa avanti un signore di mezza età: Italo Rovelli. Non è un compito allegro, il suo.<br />
Però pare a suo agio, il testimone è sicuro all'ottanta per cento. Andava davvero male.<br />
Avevo sperato in un margine di dubbio un po' più ampio. E ci vuole tutta la<br />
rassegnazione, ci vuole tutto il realismo di chi si vede violentato dalla legge, di chi si<br />
sente ricamare addosso a ogni costo una storia prefabbricata, perché un innocente<br />
speri nel dubbio.<br />
Qualche «mi sembra» cautelativo, qualche riserva: ecco il venti per cento di<br />
perplessità di Italo Rovelli. Lo scoprirò un anno e mezzo dopo, a istruttoria compiuta,<br />
quando gli avvocati mi passarono i fascicoli e lessi il verbale della «ricognizione di<br />
persona». Lo trascrivo: «...Mi sembra trattarsi dell'omicida, sebbene così come mi è<br />
stato mostrato presenti, pur con una notevolissima somiglianza fisica, una differenza<br />
nella capigliatura che non è con il ciuffo ondulato. Con questo ritengo di avere<br />
espresso la mia convinzione che, sia pure con una riserva umanamente concessami<br />
del tempo trascorso dal 10 febbraio a oggi e da tutte le persone e fotografie<br />
mostratemi, possa trattarsi dell'individuo che ho visto uscire dall'ufficio della stazione<br />
di servizio di piazzale Lotto, dopo aver udito le grida e le detonazioni. Il naso<br />
corrisponde perfettamente alle caratteristiche da me notate, soprattutto se visto di<br />
profilo. Il cappotto potrebbe essere quello indossato dall'omicida».