ASSASSINO” DI PIAZZALE LOTTO - Misteri d'Italia
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Marcello entra nell'aula. È un ragazzo. Dimostra meno dei suoi ventun’anni. È<br />
magro, tirato, spaurito. Giura. Nel sedersi, mi guarda di sfuggita.<br />
«Lei ha chiesto di essere citato, perché ha gravi rivelazioni da esporre in merito a<br />
questo processo?».<br />
«Sì».<br />
«Conosce Pasquale Virgilio? Ha legami di parentela con l'imputato o con qualcuno<br />
dei suoi familiari?».<br />
«No».<br />
«L'ascoltiamo...».<br />
«Eravamo un gruppo di amici. Gianni Nardi, Giancarlo Esposti ed io ci si incontrava<br />
spesso per parlare di politica e di azione rivoluzionaria...».<br />
«Che genere di rivoluzione?» chiede il giudice a latere.<br />
«Be', eravamo di estrema destra».<br />
«L'argomento non ha attinenza con il processo», lo interrompe il presidente Del Rio.<br />
«Prosegua, vada al sodo».<br />
«Nardi mi presentò un certo Roberto, “Roberto il parà”. Era la prima settimana di<br />
febbraio, insomma un giorno molto vicino alla data del delitto. Discutemmo di<br />
politica, come al solito. Poi il discorso cadde sulle possibilità di reperire quattrini,<br />
finanziamenti. Non so chi parlò di furti. Secondo loro, non sarebbe stato difficile<br />
rapinare un benzinaio. Credo che Roberto fosse già finito dentro, per motivi del<br />
genere. Non aveva mai soldi in tasca. Il suo lavoro ufficiale era quello di<br />
programmatore elettronico. Somiglia un po' al Virgilio, ma ha i lineamenti più<br />
marcati, i capelli biondi e il mento più piccolo. Allora, portava sempre una borsa di<br />
pelle per sembrare un impiegato: ha una faccia da delinquente. Sono sicuro che è<br />
stato lui a uccidere Innocenze Prezzavento».<br />
«Ma non può essere un po' più preciso?». «Quando ci incontrammo e venne fuori<br />
l'idea di rapinare un benzinaio, vidi che passavano a Roberto una pistola con due<br />
canne intercambiabili. Uno o due giorni dopo l'omicidio di piazzale Lotto, ci<br />
ritrovammo a casa del Nardi. C'era uno strano clima. Gianni mi prese in disparte e mi<br />
disse che Roberto era l'assassino. Era andato in piazzale Lotto in motocicletta, con la<br />
moglie. Lei lo aveva aspettato poco lontano. Nardi mi diede le due canne della<br />
pistola, perché le facessi sparire. Le ho gettate nel Lambro. Erano dentro un<br />
contenitore di plastica. Una doveva essere calibro 9, l'altra 7,65».<br />
«Non ricorda il cognome di questo Roberto?». «No, non l'ho mai saputo. Lo conobbi<br />
come “Roberto il parà” e basta. Credo abiti dalle parti di via Palmanova. Forse in via<br />
Padova».<br />
«Vada pure, Dal Buono. Ma non si allontani. Avremo ancora bisogno di lei. Usciere,<br />
faccia venire il teste Gianni Nardi».<br />
Non posso davvero stabilire se la verità di Marcello Dal Buono, a questo punto, abbia<br />
conquistato un minimo diritto di cittadinanza, se abbia toccato o soltanto sfiorato la<br />
giuria popolare. Chi mi pare del tutto scettico è il presidente. Comunque, l'importante<br />
è che Dal Buono abbia parlato.<br />
È la volta di Gianni Nardi. Ora, comincia la verifica del racconto di Marcello.<br />
Rimango sbalordito. Nardi mi assomiglia: faccia da pugile. Forse, la sua è più