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ASSASSINO” DI PIAZZALE LOTTO - Misteri d'Italia

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due guardie notturne. E arrivò, a sirene spiegate, la «madama». Riuscii a cavarmela<br />

con quattro mesi, perché ero ancora un ragazzino. Fu quello il mio esordio a San<br />

Vittore.<br />

Conoscevo già le celle d'isolamento: i «topi», come si dice nel gergo delle patrie<br />

galere. Tavolaccio, un paglione, il fetente buiolo e neppure la «bocca di lupo».<br />

Quando, come detenuto, ero ancora di primo pelo, la segregazione quasi mi<br />

lusingava. Le carceri hanno, tra le altre cose, questo in comune con gli uffici: più si è<br />

importanti meno si ha compagnia. Essere sbattuto in una cella d'isolamento mi faceva<br />

sentire «arrivato », un pezzo grosso. Ne ero orgoglioso. Dovevo essere davvero un<br />

fesso. Lo capii quella sera, quando mi ritrovai giù ai «topi». Comunque, dopo le<br />

cortesie dei carabinieri, anche quella tomba mi sembrò meno bestiale.<br />

Finalmente potevo riposare. Mi sentivo cent'anni nelle ossa. Finalmente potevo<br />

riordinare le idee o almeno tentare di capire perché mi ritrovavo «al fresco». Rapine,<br />

omicidio, farmacia Oppezzo, notaio Cipollone, piazzale Lotto, Prezzavento: ecco i<br />

pensieri che mi stipavano il cervello. Me li avevano cacciati dentro a forza i «grippa»<br />

e non riuscivo a collegarli fra loro. Non avevo il senso esatto di ciò che mi era<br />

capitato. Non mi rendevo conto di essere stato scaraventato nelle sabbie mobili di<br />

gravissime accuse. Due, tre ore di lugubre dormiveglia. Poi la mazzata.<br />

Gli agenti di custodia mi scortano in una delle stanze riservate agli interrogatori dei<br />

magistrati inquirenti. Il sostituto procuratore è giovane. Si chiama Enzo Costanzo.<br />

Non mi lascia neppure il tempo di fiatare. «Allora, giovanotto», dice, «si è messo in<br />

un brutto guaio». «Che guaio?» gli faccio. Resta di sasso: «Ma come? L'omicidio,<br />

quello che lei ha commesso e confessato. Guardi qui». E mi mette sotto gli occhi due<br />

verbali. Rimango annientato. Il primo è stato redatto alle due del pomeriggio: così<br />

asseriscono i carabinieri. Leggo. Diciannove righe si riferiscono alle mie parziali<br />

ammissioni sull'amicizia con Michele, Mario e la Gina. Poi di colpo, senza alcun<br />

legame logico, senza un nesso ecco la confessione dell'omicidio. La trascrivo<br />

integralmente.<br />

A domanda risponde: «La sera o meglio la notte fra sabato 9 febbraio 1967 e<br />

domenica 10 dello stesso mese, mentre mi trovavo di passaggio per piazzale Lotto,<br />

avendo notato che il bar adiacente a un distributore di benzina, dove io ero solito<br />

andare, era chiuso, mi affacciai allo sgabuzzino dove si trova l'addetto alle pompe per<br />

la distribuzione del carburante. Avendo visto che nell'interno non vi era nessuno,<br />

avvicinandosi il giorno dell'ultimo di carnevale ambrosiano e trovandomi senza<br />

denaro per poterlo trascorrere convenientemente, decisi di tentare la sorte e di rubare<br />

il cassetto dei soldi. Per timore di essere sorpreso da qualcuno, estrassi dalla borsa,<br />

che avevo con me, la pistola al fine di intimorire l'eventuale persona che avesse<br />

tentato di fermarmi. Entrato nello sgabuzzino, dove ho notato l'esistenza di altre due<br />

porte, una frontale rispetto a chi entra e una sulla destra, nonché a sinistra un tavolino<br />

in legno e una sedia, mi avvicinai a quest'ultimo tavolino per tentare di aprire il<br />

cassetto. Il rumore che feci entrando deve avere attirato l'attenzione del benzinaio che<br />

si trovava nella stanza, di cui alla porta a destra, e che si precipitò su di me nel<br />

tentativo di bloccarmi. In quel momento non mi sono reso conto di quanto stava<br />

succedendo e mi trovai il Prezzavento Innocenzo, che non avevo mai visto prima,

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