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ASSASSINO” DI PIAZZALE LOTTO - Misteri d'Italia

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mano, mi subissa di contestazioni. Le raggruppo per argomenti. Vestiti. I carabinieri<br />

come hanno potuto indovinare con tanta precisione il suo abbigliamento di quel<br />

giorno? Ribatto: 1) Non mi sono mai sognato di specificare con quali abiti sono<br />

uscito di casa il 9 febbraio 1967: ho soltanto elencato gli indumenti del mio<br />

guardaroba; 2) È vero, ho un paio di calzoni fumo di Londra e un cappotto cammello,<br />

ma non ho mai posseduto un maglione bianco come sta scritto nella «spontanea»<br />

confessione: il mio maglione è colore caffellatte chiaro; 3) Il cappotto grigio ferro mi<br />

fu regalato il 17 febbraio, vale dire otto giorni dopo il delitto, da Michele, perché non<br />

gli andava bene; 4) Quel giorno non portavo il paltò, ma un giubbotto di renna.<br />

Pistola. I carabinieri asseriscono che li accompagnai nel luogo dove mi sarei liberato<br />

dell'arma, dopo l'omicidio. È una pura invenzione. Non dissi di averla gettata in un<br />

prato nei pressi dell'ospedale militare. Non li accompagnai proprio da nessuna parte.<br />

Alibi. «Lei», afferma il presidente Del Rio, «ha proposto un alibi che si è rivelato<br />

infondato. Dica la verità. Che cosa ha fatto il giorno e la sera del 9 febbraio?» È un<br />

capitolo chiave dell'istruttoria. Gli inquirenti hanno preso le mie contraddizioni come<br />

altrettanti indizi di colpevolezza. «Nel corso degli interrogatori in carcere», spiego,<br />

«avrò detto tante cose. Annaspavo nel buio. Ho preso grosse cantonate, insomma. Ma<br />

in perfetta buona fede. Mi hanno arrestato alla fine di marzo. E avrei dovuto ricordare<br />

i miei movimenti di quaranta giorni prima. Lei ci riuscirebbe così di botto?» II<br />

presidente s'incattivisce: «Qui le domande le faccio io. Continui». Riprendo: «Alla<br />

fine, però, sono arrivato a delle conclusioni su cui sono pronto a scommettere la testa<br />

di mia madre. Verso le diciotto del 9 febbraio, sono stato da Sax a ritirare i calzoni.<br />

Poi sono rientrato a casa, restandoci tutta la sera e coricandomi presto, perché non mi<br />

sentivo tanto per la quale. Non ero passato a prendere la mia ragazza all'uscita del<br />

lavoro. Sapevo che mi avrebbe telefonato. Non avevo voglia di star lì a darle tante<br />

spiegazioni. E, allora, pregai mia cugina di risponderle che non ero in casa».<br />

Soldi. «Risulta», afferma il presidente, «che lei era sempre senza denaro. Invece, il<br />

pomeriggio del 10 febbraio, la sua fidanzata ricorda di averle visto per le mani un<br />

biglietto da cinque o diecimila lire, con cui ha pagato la pensione. Come lo spiega?».<br />

La domanda tocca il tema del supposto movente: l'ossessione di procurarmi quattrini<br />

per il carnevale. E affaccia l'ipotesi che quelle cinque o diecimila lire siano il<br />

provento della rapina al distributore. Ribatto: «Non ero affatto al verde. Avevo<br />

ricevuto un prestito di sessantamila lire da Mario, un amico del 'giro'. Credo sia stato<br />

il 6 febbraio. Quanto al sabato grasso, avevo già risolto il problema. Un invito. Non<br />

avrei speso una lira».<br />

Capelli. Come portavo i capelli all'epoca del delitto? «Tagliati a spazzola, come s'usa<br />

in caserma», rispondo. Il presidente ordina di dare lettura parziale della deposizione<br />

di una ragazza che frequentavo in quei giorni: «Non ricordo come il Max era<br />

pettinato. Riguardo alle fotografie che mi mostrate, penso che Max assomigli più a<br />

quella singola proprio per la faccenda dei capelli. Era solito, infatti, non pettinarseli<br />

troppo. Li lasciava più sciolti». Insisto: «Io li portavo corti. Proprio come li ho<br />

adesso».<br />

Episodio Botticini. Il presidente: «Che cosa ha da dire sull'accusa di avere tentato una<br />

rapina in via Conservatorio, la sera del 9 febbraio 1967?» Rispondo: «C'è poco da

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