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ASSASSINO” DI PIAZZALE LOTTO - Misteri d'Italia

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Antonio Scopelliti è a mezzo metro dal mio banco. Ma la sua voce mi arriva come da<br />

lontano. Forse è perché dentro alle orecchie, al cervello, ho il pulsare impazzito del<br />

cuore.<br />

«Pasquale Virgilio», esordisce, «ha confessato ai carabinieri, è stato riconosciuto dal<br />

teste Rovelli, ha prospettato un alibi che non ha resistito al controllo istruttorie. Se il<br />

mio discorso dovesse fermarsi qui, la mia richiesta dovrebbe essere di condanna. Ma<br />

la confessione dell'imputato è stata sincera? Virgilio, secondo quanto ci dice il perito,<br />

è un ambizioso che insegue false forme di fantasia. Il meccanismo provocatore della<br />

confessione, se prendiamo per buona l'ipotesi che l'abbia inventata, potrebbe<br />

collegarsi, sempre secondo il perito, a una reazione di panico, oppure al desiderio<br />

inconscio di appropriarsi del ruolo di protagonista in un crimine di vasta risonanza.<br />

Pasquale Virgilio si è, forse, voluto identificare nell'assassino, per un bisogno assurdo<br />

di mimetismo con il protagonista di questa brutale vicenda. Salvo poi giungere ad una<br />

forma di autodistruzione del mito e a recuperare il senso della realtà, il che<br />

spiegherebbe le sue successive ritrattazioni. Ci troviamo di fronte a una personalità<br />

ambivalente. Anche un suo diario di carcere lo dimostra: pagine scritte a biro rossa<br />

che si alternano a pagine a biro blu e che corrispondono a una continua altalena di<br />

contenuti dalla mitomania alla realtà. Da tale prospettiva, la confessione può essere<br />

vera o inventata. Nel primo caso tutto quadra, tranne il riferimento al maglione<br />

bianco. Nel secondo caso, i particolari più circostanziati può averli desunti dalla<br />

cronaca nera o possono essergli stati suggeriti dai carabinieri...».<br />

Dice: vera o inventata. E l'inventore ovviamente non posso essere che io. Il pubblico<br />

ministero non prende neppure in considerazione le «persuasioni», di cui ho parlato in<br />

aula, e il fatto che ho sempre rifiutato quei due verbali perché, al di là della firma, di<br />

un elenco di abiti e di amici e della falsa ammissione sul possesso di una pistola, non<br />

c'è una sola riga dettata da me, uscita dalla mia bocca.<br />

La confessione evidentemente non lo convince: non so se in se stessa o perché<br />

Antonio Scopelliti fa i conti con l'intervento di Pisapia. Comunque, per motivare i<br />

suoi dubbi, non è che accetti la mia verità, la più semplice: sono stati i carabinieri a<br />

produrre in proprio il raccontino, a montarlo, con i pezzi che avevano già in mano.<br />

Preferisce aggrapparsi alla perizia psichiatrica, che ha analizzato l'ipotesi di una<br />

confessione inventata e l'ha giudicata come un'esplosione mitomaniacale. È chiaro<br />

che non era mestiere del perito d'ufficio proporre un'altra alternativa: quella di un<br />

vestito confezionato da Ciancio e subalterni e di un disgraziato, io, «persuaso» a<br />

indossarlo dopo due svenimenti. Comunque sono qui, in gabbia, e mi sembra già<br />

straordinario che il pubblico ministero ridimensioni il «fatto confessione». Quanto al<br />

diario bicolore, la realtà è un'altra. Scrivevo, allora, in biro blu la brutta copia delle<br />

lettere d'amore a una ragazza di Torino e, in biro rossa, pensieri, considerazioni<br />

«filosofiche» e invettive contro la società che erano - lo ammetto - un po' folli.<br />

La requisitoria passa, poi, al secondo arco portante della mia incriminazione: il<br />

riconoscimento. «Rovelli», afferma Scopelliti, «è in buona fede. È convinto di quel<br />

che dice. Fermo restando che il teste esce a testa alta da questo processo, siamo noi a<br />

dubitare del riconoscimento. Subito dopo il crimine, il teste vede in questura le<br />

fotografie del Virgilio e lo esclude dalle indagini. Agli atti, sono accluse tutte le foto

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