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ASSASSINO” DI PIAZZALE LOTTO - Misteri d'Italia

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Marcello Dal Buono, che non ha rivelato alla corte elementi tali da provare<br />

l'innocenza dell'imputato e la colpevolezza di un altro. Quanto al professor Pisapia,<br />

egli è venuto a dirci che Pasquale Virgilio è estraneo al delitto di piazzale Lotto. Ma<br />

la sua testimonianza, la sua parola giurata non bastano. Il suo intervento entra in una<br />

pagina di questo processo, ma non deve entrare nella sentenza. Può essere giudicato<br />

soltanto come una sorta di domanda di grazia, quale avrebbe potuto chiedere qualsiasi<br />

altro cittadino altrettanto probo e onesto di Pisapia. Ci siamo trovati davanti a un<br />

galantuomo. Ma non sappiamo se altrettanto galantuomo è chi si è recato da lui. Sul<br />

piano della prova, il discorso di Pisapia non esiste. Chiedo l'insufficienza di prove. Se<br />

lei, Virgilio, è colpevole, sarà sempre accompagnato dall'incubo del suo delitto,<br />

peserà sui suoi sonni il pianto dei figli e della vedova di Innocenzo Prezzavento. Se è<br />

innocente, non urli di rabbia e di sdegno verso chi l'ha messo a quella sbarra.<br />

Apprezzi e comprenda lo sforzo che noi, uomini prima che magistrati, abbiamo<br />

compiuto per ricercare la verità».<br />

È dal 25 marzo 1967 che aspetto di poter tirare il fiato, di lasciarmi andare. Un<br />

grande caldo mi sgela il cuore. Insufficienza di prove. Un innocente dovrebbe<br />

pretendere di più. Io, invece, ancora non ci credo che il pubblico ministero l'abbia<br />

proposta. Forse, un'innocenza violentata per due anni non pensa di valere la formula<br />

piena. Quanto all'urlare di rabbia, ho ormai la gola rauca e i nervi lisi, logori. Ma,<br />

dentro, urlo ancora. Dovrei metterci una pietra sopra? Dimenticare è, forse, più<br />

confortante. Ma, in certi casi, è umanamente disonesto. Dimenticare i signori che mi<br />

hanno regalato due anni d'inferno, per passare alle note di carriera come i «brillanti<br />

risolutori del delitto di piazzale Lotto»; chi, quando dopo due ore d'interrogatorio e di<br />

«calcate» chiesi un bicchiere d'acqua, mi rispose: «vedrai quanta ne berrai», e<br />

minacciava così di gonfiarmi a forza lo stomaco come un otre; chi ha prefabbricato la<br />

mia confessione; chi ha dedotto dal nulla, persino dai miei relax fra una scopata e<br />

l'altra, gli indizi di un'inesistente colpevolezza. Gliene frega tanto a loro di essere o<br />

non essere dimenticati. Dormono beati, statali sonni, e, se per caso, gli torna in mente<br />

Pasquale Virgilio, «il biondino, la belva di piazzale Lotto», ricacciano il pensiero con<br />

un «tanto era un pregiudicato».<br />

Il pubblico ministero mi invita «a comprendere e ad apprezzare lo sforzo» del<br />

tribunale. Da quando? Prima o dopo Pisapia? Forse il tribunale s'è trovato<br />

condizionato da un'istruttoria portata avanti più dai carabinieri che dal magistrato,<br />

apparentemente invulnerabile nelle sue superbe certezze e garantita dal genio<br />

mnemonico di Italo Rovelli. Ma chi ha dato la patente di infallibilità al testimone<br />

oculare, mettendola in discussione solo dopo il «colpo di scena» di Pisapia? E perché<br />

si è atteso che cadesse dal cielo il professore, per accogliere istanze che erano già<br />

state respinte e che miravano a collaudare più a fondo l'attendibilità di Rovelli e la<br />

pista Rapetti? Nonostante l'affermazione contraria di Antonio Scopelliti, su<br />

quest'insufficienza di prove aleggia l'ombra di Pisapia. Ne sono certo. È lui, lui solo<br />

ad avere imposto il dubbio in quest'aula.<br />

È una realtà obiettiva che trova una clamorosa conferma nell'arringa dell'avvocato<br />

Lucio Rubini, rappresentante della famiglia Prezzavento. Dopo aver sparato a zero<br />

sulle indagini della polizia giudiziaria «una volta ancora insufficienti, contraddittorie

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