ASSASSINO” DI PIAZZALE LOTTO - Misteri d'Italia
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contro la prepotenza accusatoria del Golia Rovelli: la realtà dell'innocenza; la smania<br />
di perfezionismo del testimone; le palesi contraddizioni sulla statura e sul ciuffo.<br />
Comunque, non sarà un giochetto demolire o soltanto ridimensionare la sua<br />
presuntuosa, splendente sicurezza. Non c'è peggior sordo del sordo che è convinto di<br />
sentire.<br />
Dal giorno del riconoscimento ribadito, sfrondato da qualsiasi incertezza, rifinito in<br />
ogni sfumatura, il signor Rovelli mangia forse più tranquillo ed è ingrassato per la<br />
soddisfazione del dovere compiuto. Del resto, chi non ha dubbi, dovendone avere,<br />
mangia sempre tranquillo. A me, invece, i pastoni di San Vittore restano in gola.<br />
Nello stomaco, c'è posto solo per la rabbia e per il senso di impotenza. Dovrei<br />
odiarlo, questo signore. Coinvolto in un dramma come dovrebbe essere quello di<br />
buttare qualcuno all'ergastolo, punta l'indice accusatore su un innocente, dice di<br />
riconoscerlo e non ha dubbi, non si cautela neppure con un «mi sembra». Il suo è un<br />
omicidio bianco. Dovrei odiarlo. Sarebbe almeno un sentimento vitale. Invece lo<br />
commisero. Siccome non posso credere che sia un sadico e abbia sbagliato<br />
volontariamente, ne discende che non hanno fatto niente per collaudare la sua<br />
attendibilità. La volontarietà sta da altre parti. Conscia o inconscia che sia. Hanno<br />
digerito, senza il minimo rutto, le sue contraddizioni. Non solo hanno abdicato al<br />
controllo, al vaglio delle sue scivolate. Ma le hanno minimizzate.<br />
Avvelenati dal definitivo «sì» del testimone oculare, passarono l'estate e gran parte<br />
dell'inverno. Vivevo in un'altalena di lugubri depressioni e di combattiva<br />
sopravvivenza, di alti e bassi. Gli alti ingiustificati e i bassi purtroppo<br />
giustificatissimi. Dopo il sopralluogo, non era successo niente di particolare.<br />
L'istruttoria ristagnava. Il pilone portante dell'incriminazione s'era rafforzato.<br />
L'accusa non aveva molti altri problemi. Mi consideravano già impacchettato e<br />
pronto per essere spedito all'ergastolo.<br />
In quest'atmosfera di «caso risolto», il giudice istruttore Berardi ebbe persino il<br />
tempo di farmi una concessione: la perizia psichiatrica d'ufficio. Dissi che non avrei<br />
collaborato. Volevo che mi giudicassero al più presto e basta. La seminfermità<br />
mentale serve ai colpevoli. Del resto, era davvero una concessione o tentavano<br />
d'inquadrare il loro romanzo in una cornice, quella di un cervello tarato, che rendesse<br />
logica l'incongruenza della trama? Era il favore di una giustizia illuminata o non<br />
piuttosto la ricerca di un certificato medico che rendesse plausibile la patente di<br />
assassino che mi avevano appioppato? Gli avvocati mi convinsero a non puntare i<br />
piedi. «Qualsiasi risultato darà la perizia», affermarono, «la difesa non chiederà vie di<br />
mezzo, attenuanti a una sentenza di condanna. Si batterà per l'assoluzione totale,<br />
anche se il processo prendesse una brutta piega». Accettai.<br />
Venne il perito. Una cosa svelta: qualche seduta di circa un'ora e mezzo. Dedicò la<br />
prima seduta a domande sulla mia infanzia e sui miei inizi di «carriera». La volta<br />
dopo, tornò con il suo bravo test. Erano disegni su cartoncino. Rappresentavano<br />
altrettanti momenti di una rapina. Mi chiese di disporli, secondo un ordine logico di<br />
sequenza, e di spiegare i perché della mia scelta. Riapparve, qualche giorno dopo, con<br />
le fotografie del cadavere di Innocenzo Prezzavento sul tavolo anatomico: cassa<br />
toracica aperta e primi piani del cuore squarciato dalla pallottola. Me le mostrò, per