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ASSASSINO” DI PIAZZALE LOTTO - Misteri d'Italia

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La denuncia del primo aprile ha qualche particolare che non compare nel promemoria<br />

del 12 febbraio. Lo sconosciuto, adesso, non solo avvicina il tremebondo Botticini,<br />

ma lo affronta con fare minaccioso. Bastano una frase rafforzativa e una più meditata<br />

scelta del verbo, per rendere maggiormente credibile la tentata rapina. Il sostanziale<br />

riferimento alla «non violenza» si volatilizza nel verbale di denuncia. Sono sfumature<br />

che, però, trasformano il significato complessivo del racconto e lo rendono più<br />

efficace, più proponibile dalla prospettiva dell'accusa. Mario Botticini deve proprio<br />

essersi incaponito a collegare il suo episodio all'omicidio di piazzale Lotto. Se ha<br />

individuato nell'identikit dell'assassino il rapinatore-accattone, è assurda<br />

l'identificazione fra le mie fotografie e il tipo di via Conservatorio. Dovrebbe<br />

sottintendere, per lo meno, un vago parallelismo fra l'identikit e le mie reali<br />

sembianze, i miei connotati. Invece, no. Non c'è somiglianza, neppure a interpretare<br />

quel disegno con tutta la voglia di incastrarmi degli inquirenti. Ma lui si è proprio<br />

intestardito. E l'ha spuntata, perché l'accusa - lo si è visto - è stata tarantolata dalla<br />

volontà di strafare, di presentarsi al processo con qualche carta in più di quelle<br />

necessarie a vincere la partita.<br />

Piove dal cielo un signore che conforta e puntella il movente intuito dai carabinieri,<br />

che mi riconosce e ricalca persino in certi minimi particolari descrittivi (una mano<br />

sinistra nella tasca del cappotto, borsa, paltò scuro) la deposizione di Italo Rovelli.<br />

Forse è comprensibile che, pur non avendone bisogno ai fini del processo, lo<br />

accolgano come una grazia ricevuta, come un dono. E si sa che a caval donato non si<br />

guarda in bocca. Ma è comprensibile per chi non ne viene coinvolto. Per me, è tutto<br />

un altro discorso. Ci sento dentro una determinazione pregiudiziale a fottere, a<br />

stritolare la mia innocenza.<br />

Il 25 gennaio 1968, mi presentarono il falso conto della faccenda Botticini. A<br />

contestarmi la nuova denuncia, venne a San Vittore il giudice istruttore Tommaso<br />

Milone. «Sono del tutto estraneo ai fatti in questione», gli dissi. «La denuncia è<br />

infondata. Ricordo ciò che feci quel giorno, in quanto è la stessa data in cui avrei<br />

commesso il delitto. Verso le diciotto e trenta, mi trovavo al negozio Sax di corso<br />

Europa, per ritirare un paio di calzoni nocciola. Poi, me ne sono andato a casa con la<br />

metropolitana. Sono innocente». II 15 febbraio, Tommaso Milone tornò al carcere<br />

per il confronto all'americana. Poco prima della ricognizione di persona, Mario<br />

Botticini aveva confermato, davanti al giudice, le dichiarazioni rese alla squadra<br />

mobile il primo aprile 1967 e aveva nuovamente dettato a verbale la sequenza dei<br />

fatti. Ma - gli atti lo documentano - s'era premurato di caricare le tinte dell'episodio.<br />

In precedenza aveva affermato: «Mi chiese di consegnargli dei soldi». Per il<br />

magistrato, invece, aveva sfoderato una frase più categorica: «M'ingiunse di<br />

consegnargli il denaro», in cui un verbo più marcato e l'abolizione del partitivo («il<br />

denaro» e non «dei soldi») attenuano il senso di un'imbarazzata domanda di<br />

elemosina e configurano maggiormente l'immagine di un autentico tentativo di<br />

rapina. Al di là di questi ritocchi peggiorativi, il teste aveva poi circostanziato il<br />

particolare della statura: «Altezza leggermente superiore alla mia che è di un metro e<br />

settanta».

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