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ASSASSINO” DI PIAZZALE LOTTO - Misteri d'Italia

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«Tra le foto che le fecero visionare dopo il delitto, lei riconobbe qualcuno?».<br />

«In una sola fotografia, mi sembrò di cogliere una certa rassomiglianza con<br />

l'assassino».<br />

Rovelli dimentica di accennare al fatto che in questura vide anche due mie fotografie<br />

segnaletiche. Non ebbe incertezze. Proprio non gli ricordavo il tipo del distributore.<br />

«Che cosa la colpì particolarmente nell'omicida?».<br />

«Il naso. Aveva un profilo caratteristico e finiva a ciliegina».<br />

«Ci parli della ricognizione di persona in carcere».<br />

«Vostro onore, era passato un mese e mezzo dal delitto. Mi fecero sfilare davanti a un<br />

gruppo di persone e ho detto che mi sembrava senz'altro lui. Sì, l'attuale imputato.<br />

Notai soltanto qualche piccola differenza. Aveva, ad esempio, i capelli più lunghi».<br />

Ho deciso di non controbattere, di non dare sulla voce al teste. Gli avvocati mi hanno<br />

consigliato di mitigare le irruenze, l'aggressività. Sto zitto e rifletto. Dal verbale di<br />

quella ricognizione (28 marzo 1967) risulta che il Rovelli dichiarò «mi sembra» e non<br />

aggiunse «senz'altro». Anzi, disse: «Sia pure con una riserva umanamente<br />

concessami». Del resto, Rovelli si guarda bene dal raccontare in aula di avere<br />

sottolineato, al momento di quel primo confronto, la faccenda del ciuffo. Oltre a una<br />

straordinaria memoria, ha il talento dei silenzi.<br />

Il presidente Del Rio continua: «Che cosa può dirci della statura?».<br />

«Quando, a San Vittore, mi trovai di fronte all'imputato, la sua statura mi lasciò un<br />

pochino perplesso. L'omicida mi era sembrato più alto. Però, devo ricordare che il<br />

terreno del chiosco di benzina non è perfettamente regolare. Poteva essere uno<br />

svarione ottico. Infatti, durante il sopralluogo in piazzale Lotto, mi resi conto che<br />

l'altezza corrispondeva. Anche il modo di camminare dell'imputato mi lasciò<br />

dapprima interdetto. Non era lo stesso modo tranquillo, con cui si allontanò<br />

l'assassino. Ma dipendeva dalle manette, che obbligavano il Virgilio a una camminata<br />

innaturale. Gliele tolsero e tutto andò a posto. Visto da dietro, l'uomo di quella notte<br />

aveva una sfumatura alta che dava l'impressione di un taglio più corto del normale. I<br />

capelli erano biondi. Ma, forse, il colore fu accentuato dalla luce al neon che<br />

rischiarava il chiosco. Dopo il sopralluogo, sciolsi tutte le riserve. La ricognizione<br />

durò alcune ore. Alla fine, confermai ufficialmente ciò che nel mio animo era<br />

autentica convinzione. La mia coscienza è tranquilla».<br />

Mi portano al pretorio, faccia a faccia al Rovelli. «È lui!» dice. Mi fanno indossare il<br />

famoso cappotto grigio scuro. Ci sto dentro una volta e mezzo. Sono ridicolo. Al di là<br />

delle transenne, si alza un mormorio. Qualcuno ride. Rovelli non deflette: «È lui!».<br />

Dai verbali, risulta che il testimone oculare ha più volte insistito sulla «giusta<br />

lunghezza» e sul «leggermente attillato» a proposito del paltò. Questo cappotto mi<br />

balla addosso. Ma Rovelli abbozza. Non ho più voglia di reagire. Tanto, a che<br />

servirebbe? Dall'alto della sua coscienza Rovelli fa e disfa a proprio piacimento. Gli<br />

altri, gli esecutori della giustizia, cantano la ninnananna al teste che facilita il loro<br />

compito, che gli assicura sonni senza turbamenti dopo il verdetto di condanna. Lo<br />

cullano. Nessuno cerca di scavare dentro questa spavalda sicurezza. Eppure, la sua<br />

deposizione non manca di appigli per un collaudo a fondo. Non sono molti. Ma<br />

qualcosa c'è che non quadra alla perfezione.

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