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ASSASSINO” DI PIAZZALE LOTTO - Misteri d'Italia

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dei «grippa» era proprio il delitto. Michele e soci, per il solito giochetto dello<br />

scaricabarile, avevano parlato di un certo «Max». Era il mio soprannome. Li avevano<br />

pizzicati e, tirando in ballo Max, un «biondino» che abitava nella zona di piazzale<br />

Lotto e che per di più era pregiudicato, speravano di fare «polverone». «Biondino»,<br />

pregiudicato e piazzale Lotto: tutte cose che potevano quadrare.<br />

Nella testa dei «grippa», Max è diventato, così, il tipo ideale per risolvere il «caso» di<br />

piazzale Lotto. L'essenziale era addossarmi una confessione. Il resto sarebbe venuto<br />

da sé, come infatti è venuto. Altro che sorpresa. Era già tutto preventivato. Se no,<br />

come spiegare la caccia che mi avevano dato? Non si punta, con tanto accanimento, a<br />

un ladro di macchine. Non si impegnano tutti gli uomini del nucleo di polizia<br />

giudiziaria per interrogare un semplice balordo. E io, nello scantinato del palazzo di<br />

giustizia, ne avevo addosso almeno dieci, di «grippa».<br />

Io non ho confessato. Lo ripeto. Mi devono ancora spiegare perché avrei spiattellato<br />

l'omicidio e non le rapine. Perché? Se, come dicono loro, mi volevo liberare la<br />

coscienza, non sarebbe stato logico che, sgravato dal peso dell'omicidio, completassi<br />

il bucato della coscienza, spiattellando anche i furti a mano armata? Io non avevo<br />

commesso né l'uno né l'altro crimine. Eppure confesso quello che mi assicura<br />

trent'anni di sbarre e, invece, non mollo sulla faccenda delle rapine. Ma come<br />

confesso? I carabinieri parlano di «crisi di sconforto», di «pianti a dirotto», di<br />

«pallore improvviso». Insomma ero stravolto, ma rivelo una straordinaria lucidità,<br />

quando si tratta di elencare i particolari di cui è generoso il secondo verbale<br />

d'interrogatorio. Sono particolari che sottintendono una memoria e un colpo d'occhio<br />

per nulla offuscati dal «trauma» del delitto, dalla tensione dell'azione criminosa. Io, il<br />

ladro, ho la freddezza di notare nello sgabuzzino l’esistenza di altre due porte, una<br />

frontale riatto a chi entra e una sulla destra, nonché a sinistra un tavolino in legno e<br />

una sedia». Io, l'omicida che ha appena freddato il Prezzavento ho paura, ho la voglia,<br />

il tempo e l'autocontrollo di guardare come la vittima si accascia al suolo e non me ne<br />

vado, sino a quando non stabilisco con precisione che il benzinaio è caduto «in<br />

corrispondenza della porta destra». Sono particolari da sopralluogo dei carabinieri.<br />

Non è finita. Nel verbale si legge: «Terrorizzato per quanto era accaduto, ripongo la<br />

pistola nella borsa, esco e mi richiudo alle spalle la porta d'ingresso».<br />

Deve essere stato uno strano terrore, se mi ha permesso di dare vita a una meticolosa<br />

sequenza all'insegna dell'ordine. Quaranta giorni prima della mia confessione, il<br />

testimone oculare aveva raccontato le stesse cose («nell'uscire l'individuo ha avuto<br />

cura di chiudere alle sue spalle la porta») e aveva sottolineato anche il particolare<br />

della pistola riposta nella borsa. Ma mai si ero lasciato andare a deduzioni sullo stato<br />

d'animo dell'omicida. I carabinieri, invece, non hanno saputo resistere al fascino di<br />

un'annotazione psicologica, ed ecco la più abissale delle contraddizioni: terrore e<br />

calma olimpica.<br />

Insomma, uno spregiudicato montaggio fra la mia realtà e le circostanze del delitto,<br />

fra quel POCO che avevo raccontato sulla mia vita di quei giorni e i particolari<br />

dell'omicidio messi a fuoco dalle prime indagini, dalla deposizione del testimone<br />

oculare: questa è la mia «confessione».

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