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ASSASSINO” DI PIAZZALE LOTTO - Misteri d'Italia

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natura dei disturbi nervosi di Marcello. Ha cominciato a stare male proprio nella<br />

primavera di due anni fa, pochi mesi dopo il delitto». E spiega come Marcello abbia<br />

deciso di vuotare il sacco nel registratore di Cillario: «Qualche giorno fa, mio figlio<br />

ha manifestato il proposito di confessarsi. Un nostro lontano parente è parroco in<br />

Brianza, a Erba. Ci è andato. Il parroco lo ha convinto a confidarsi con il cappellano<br />

di San Vittore, don Cesare Curioni. A sua volta, don Cesare lo ha consigliato di<br />

parlare con i difensori di Pasquale Virgilio. Questi sono i fatti. Da parte mia, se lo<br />

riterrà necessario, sono pronto a testimoniare su quanto è a mia conoscenza».<br />

Così, la «bomba Dal Buono» ha teoricamente aumentato il proprio potenziale. Ma a<br />

che varrà tentare di farla scoppiare al processo? La procura, con la sua decisione, l'ha<br />

già in parte disinnescata. D'accordo, è una carta da giocare. Ma non ci scommetto<br />

sopra neppure un centesimo. La giustizia pare ciecamente innamorata della realtà che<br />

i suoi interpreti, i suoi esecutori e una serie di jellate circostanze mi hanno cucito<br />

addosso.<br />

Fra poche ore comincia il ballo. Il tribunale si troverà di fronte a tre verità. Tutto mi<br />

fa pensare che abbraccerà quella controfirmata dal giudice istruttore. E sarà la fine.<br />

C'è la verità di Marcello Dal Buono. Ma non le hanno «dato corso». Non sarà facile<br />

aprirle uno spazio al processo. C'è la verità degli inquirenti, documentata da centinaia<br />

di verbali, confortata dal riconoscimento di un testimone oculare e di un mancato<br />

rapinato, ufficializzata dal parere della procura e del giudice istruttore. È tirata a<br />

lucido, tanto da apparire inattaccabile. Il tribunale dovrebbe avere molta buona<br />

volontà, per scrostare la vernice e portare in primo piano le crepe, i vuoti, le<br />

magagne. Ma perché dovrebbe? Un pregiudicato crea pochi problemi di coscienza.<br />

Del resto questa verità è lustra, comoda. La riepilogo, per chiarezza.<br />

Il 9 febbraio 1967 mi sarei alzato verso le dieci, con l'assillo del portafoglio a secco e<br />

del sabato grasso da onorare con una costosa bisboccia. Avrei indossato il paltò<br />

scuro, avrei infilato una pistola nella borsa logora di mio padre, mimetizzandola fra<br />

giornali appallottati, e sarei uscito alla caccia di una propizia occasione da rapina. Per<br />

trovarla avrei battuto la città dalle dieci di mattina sino all'una e quarantacinque di<br />

notte. Un'autentica maratona in preda a una febbre criminale: via Veniero, piazza del<br />

Duomo, via Torino, stazione centrale, via Tonale, porta Garibaldi. Sempre a piedi,<br />

come un globe-trotter della malavita. Verso le sei di sera, ormai disfatto dalla<br />

tensione e dalla marcia a tappe forzate, mi sarei ritrovato in via Conservatorio. Qui<br />

avrei cercato di ripulire Mario Botticini. Fallimento. E, allora, via di nuovo e sempre<br />

a piedi, lungo un itinerario non generoso di occasioni che, verso l'una e trenta di<br />

notte, mi avrebbe riportato in piazzale Lotto.<br />

Ero a due passi da casa e non me la sarei sentita di rientrare a mani vuote. Così, avrei<br />

deciso di puntare al distributore Esso. Sarei penetrato nell'ufficio, che era al buio. Mi<br />

sarei impossessato di otto-diecimila lire trovate in un cassetto. A questo punto, mi<br />

sarei visto piombare addosso Innocenzo Prezzavento. Colluttazione. Due colpi di<br />

pistola e omicidio del povero benzinaio. Poi, mi sarei dileguato verso via Caprilli. Ma<br />

senza fretta, senza panico, come ha annotato la memoria fotografica di Italo Rovelli.<br />

Non sarei rincasato subito. Sempre a piedi, mi sarei diretto a Baggio. Dista da<br />

piazzale Lotto almeno tre chilometri. Là avrei gettato, in un prato, la pistola che,

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