ASSASSINO” DI PIAZZALE LOTTO - Misteri d'Italia
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dentro. Il cambio è dettato da un rilievo di Rovelli: «L'omicida aveva un paltò scuro e<br />
non color cammello come questo». Devo allontanarmi senza fretta e, rasentando il<br />
caseggiato, svoltare in via Caprilli, in direzione, per intenderci, dello stadio di San<br />
Siro. «Confermo sempre», si legge nel verbale, «il riconoscimento già effettuato.<br />
Sciogliendo le riserve da me formulate antecedentemente, debbo dire che la statura<br />
del Virgilio, anche in questa fase dell'esperimento, corrisponde in pieno a quella<br />
dell'omicida. Quella sera, però, indossava un paio di scarpe più robuste. Inoltre penso<br />
che, sotto al paltò, avesse la giacca, in quanto il cappotto era più aderente, anche se<br />
non è detto che questo indossato dal Virgilio, pur essendo identico di colore, sia<br />
proprio quello da me visto addosso all'assassino. Il Virgilio si è allontanato con la<br />
stessa lenta andatura, ma con una camminata ciondolante che quella sera non avevo<br />
notato. Forse è dovuto al fatto che porta le manette».<br />
Quarta scena. Mi tolgono le manette e devo reggere, nella mano destra, la borsa di<br />
mio padre riempita - le deduzioni del colonnello Bello fanno proseliti - di giornali<br />
appallottolati. Ripeto la sequenza della camminata. «Noto», dichiara a verbale il<br />
testimone, «che il Virgilio non ha più l'andatura ciondolante di quando era<br />
ammanettato e, pertanto, i suoi movimenti corrispondono in pieno a quelli da me<br />
ricordati. In particolare, corrisponde l'andatura lineare, senza sussulti né movimenti<br />
anomali, anche se con una minore rigidità di quella che l'omicida aveva quella sera».<br />
«Confermo integralmente», «sciolgo le riserve», «corrisponde in pieno»: altro che<br />
novanta per cento. È un cento per cento tondo tondo, che castra la mia innocenza e mi<br />
fa a pezzetti. Non si tratta più di trovare soltanto pezze d'appoggio all'alibi di quella<br />
notte fatale, di smantellare le tesi spesso meramente deduttive degli inquirenti<br />
vogliosi di colpevole e dei magistrati acquiescenti alle trovate di Francesco Paolo<br />
Bello. A sbarrare la strada verso una totale dimostrazione della mia estraneità ai fatti<br />
si erge Italo Rovelli, moloch dell’accusa. Quanto ho pensato, in questi due anni, al<br />
commerciante di fiori, solerte, preciso, capillare nel dare una mano a chi mi vuole<br />
togliere di mezzo con la galera a vita.<br />
Chi non crederebbe a un testimone oculare così sicuro di sé, così determinato, così<br />
strepitoso di vista e di memoria? Rovelli e l'omicida non si sono trovati faccia a<br />
faccia. Li separavano dieci metri abbondanti che di notte non sono poca cosa. La luce<br />
era scarsa: un lampione e il riverbero al neon della pensilina a copertura delle pompe<br />
di benzina. Il tempo di osservazione è stato brevissimo: meno di un minuto, mentre<br />
l'assassino si trovava all'interno dello stanzino e dava le spalle al testimone; poco più<br />
di quindici secondi dal momento in cui l'omicida uscì dall'ufficio, chiuse la porta<br />
dietro di sé, restò un attimo interdetto alla vista dell'«intruso» e si allontanò.<br />
Insomma, tutte condizioni abbastanza precarie per «fotografare» minuziosamente un<br />
individuo. Eppure, Rovelli sa precisare il colore degli occhi, l'andatura, il taglio del<br />
paltò, l'acconciatura e il tipo di scarpe. Prodigioso, se non s'intestardisse a vedere<br />
l'omicida in un innocente, in chi quella notte dormiva. Un colpo d'occhio eccezionale.<br />
Forse troppo, tanto da suscitare un sospetto di zelante esibizionismo. Una memoria<br />
visiva fenomenale, ma parimenti suggestionabile perché prima restituisce l'immagine<br />
di un giovanotto «alto, slanciato» e, poi, contrabbanda il preciso ricordo con un<br />
tracagnotto che a malapena arriva al metro e settanta. Ecco la mia fionda di Davide