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ASSASSINO” DI PIAZZALE LOTTO - Misteri d'Italia

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Neppure un cenno alla faccenda dell'altezza. «Sarà almeno uno e ottanta: ne sono<br />

sicuro», aveva detto alla polizia nell'interrogatorio, subito dopo il delitto. E lo aveva<br />

confermato poco prima del confronto all'americana in carcere, dettando un «ritratto»<br />

del criminale che forse stava per riconoscere. Aveva insistito su due particolari:<br />

«corporatura longilinea, quindi magro e slanciato; statura presumibilmente dal metro<br />

e settantacinque al metro e ottanta; naso leggermente più pronunciato del normale e<br />

che finisce verso la punta con una piccola protuberanza a ciliegina».<br />

Nel verbale del dopo confronto, Rovelli riprende il tema del naso. Il mio lo trova<br />

identico a quello dell'omicida. Scorda, invece, di essere stato colpito dalla statura del<br />

criminale e non rileva affatto i dieci abbondanti centimetri che mi differenziano dal<br />

longilineo individuo di piazzale Lotto. Ed è singolare che Francesco Paolo Bello non<br />

glielo faccia notare. <strong>Misteri</strong> troppo profondi per un poveraccio come me. Ma c'è<br />

dell'altro. Il testimone oculare, con la sola limitazione di un «potrebbe», riconosce nel<br />

mio cappotto quello dell'assassino di Prezzavento. Nella descrizione fatta prima di<br />

vedermi, non aveva forse parlato di «giusta lunghezza e di paltò leggermente<br />

attillato»? Io, nel cachemire spigato color fumo di Londra, ci stavo dentro una volta e<br />

mezzo.<br />

Per due giorni mi lasciarono a bollire, a cuocere in cella, in un panico senza<br />

interlocutori. Poi tornarono alla carica. È il terzo interrogatorio in carcere. A condurre<br />

il ballo sono sempre i carabinieri. Si vede che al magistrato non piace l'aria della<br />

galera. Mi accusano di avere asserito il falso, di avere mentito. Hanno accertato che<br />

quella stramaledetta sera del 9 febbraio non ero in casa. Lo hanno desunto da una<br />

nuova deposizione di Silvana, la mia ragazza. Ecco - l'ho potuta leggere<br />

nell'istruttoria - la parte che si riferisce alle giornate chiave della vicenda: «Il 9<br />

febbraio non ci eravamo visti. Alle ore ventuno, al rientro dal lavoro, telefonai al<br />

Pasquale, ma questi era assente. Nella circostanza credo sia stata la cugina a<br />

rispondermi. Comunque appresi che Pasquale non era rientrato per cena e non mi<br />

seppe dire quando sarebbe tornato. Lasciai detto di chiamarmi la mattina dopo a casa,<br />

giacché ero libera da impegni di lavoro. Precisai che mi avrebbe dovuto telefonare<br />

alle dieci. L'indomani, intendendo evitare che incocciasse nei miei familiari, decisi di<br />

telefonargli io e così feci verso le nove. L'apparecchio trillò quattro volte e, quindi, fu<br />

lui a rispondermi. Fissammo l'appuntamento per il pomeriggio e precisamente per le<br />

quattordici e trenta in piazzale Lotto. Pasquale era solo in casa. In detto pomeriggio,<br />

c'incontrammo all'ora e luogo fissati. Appena incontratici e scambiato il saluto, fui io<br />

a richiamare la sua attenzione sul fatto delittuoso accaduto nella notte. Mi rispose che<br />

ne era a conoscenza, in quanto al mattino, come di consueto, era stato al bar del<br />

distributore. Mi disse che lo aveva appreso dalla barista. Quindi, a piedi, ci portammo<br />

nella zona della pensione. Ci restammo fino alle diciassette-diciassette e trenta.<br />

Durante il relativo incontro intimo, il Pasquale disse che si sentiva più in forza. Tutte<br />

le altre volte non aveva avuto mai bisogno di fare questa precisazione. Ma, in effetti,<br />

io constatai che, a differenza del passato, ebbe a riposarsi per maggior tempo fra un<br />

contatto e l'altro. Non chiesi il motivo di tale maggiore necessità di riposo. [...] In<br />

realtà non ero favorevole ad andare, per il predetto scopo, in una pensione e soggiunsi<br />

che sarebbe stato meglio passeggiare. Ma Pasquale mi rispose testualmente:

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