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ASSASSINO” DI PIAZZALE LOTTO - Misteri d'Italia

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Fitta di menzogne grosse come case, tutta l'architettura barcolla. Ma soltanto per il<br />

sottoscritto che la esamina dalla prospettiva della propria innocenza. Altri, molti altri,<br />

perché sono stati parecchi i magistrati preposti al mio caso, hanno giudicato la<br />

confessione attendibile: un pastone non solo digeribile ma così prelibato da offrirlo,<br />

senza neppure aggiungerci una presa di sale, ai signori che si accingono a<br />

processarmi. La giustizia ha il palato buono, quando ha fame di colpevoli a tutti i<br />

costi.<br />

Subito, da quella prima notte in cella d'isolamento, capii che, per quanto barcollanti<br />

ritenessi i verbali dei carabinieri, non mi sarebbe stato facile dipanare quel dannato<br />

gomitolo d'accuse. Mi serviva un alibi: il mio alibi. Innocente, dovevo averne almeno<br />

uno. Recuperarlo dalla memoria avrebbe significato (ma m'illudevo) uscire dal<br />

labirinto di menzogne costruito anche per pregiudizi «razziali».<br />

Io solo potevo salvarmi. Gli «altri» avrebbero lavorato a fondo per inchiodarmi, per<br />

puntellare la «loro» confessione. Dovevo scavare nel cervello per tessere, a poco a<br />

poco, la tela di labili, troppo normali ricordi. E cominciai subito. Per due anni la<br />

ricostruzione del febbraio 1967 è stata il mio lavoro. Quella prima notte, parvenze di<br />

ricordi e frammenti di «cose fatte» mi navigarono dentro, bruciandomi il sonno. Ma<br />

ero avvelenato dal panico, dalla rabbia, e non riuscii ad andare molto più in là della<br />

sensazione di non essermi mosso da casa. Lo avevo già detto al sostituto procuratore<br />

Enzo Costanzo. Era un po' poco, per affrontare più serenamente il secondo<br />

interrogatorio del magistrato. Ma magistrati non ne vidi più.<br />

All'indomani del «fermo», nella solita stanza riservata agli inquirenti, mi aspettava<br />

una brutta sorpresa. Niente sostituto procuratore e, al suo posto, il tenente colonnello<br />

Francesco Paolo Bello, comandante del nucleo di polizia giudiziaria dove mi<br />

avevano cucito addosso quella confessione da ergastolo. Ma come? Avevo scelto di<br />

passare in carcere i giorni del «fermo» proprio per non ripiombare nelle mani dei<br />

«grippa» e, adesso, in spregio alle norme della procedura penale, me li ritrovavo<br />

addosso. Si metteva male. Puzzavo di ergastolo.<br />

Riprende il ballo e attacco: «Io al processo sono sicuro di cavarmela, perché non ho<br />

fatto niente, non ho ammazzato nessuno. Non ho mai avuto una pistola. Certo, l'ho<br />

detto. Ma era tutta una farsa. Ormai sono fregato e gioco tutte le mie carte».<br />

«Perché hai confessato?» mi chiede.<br />

«Per essere lasciato in pace. Qualche particolare lo ammisi incoscientemente,<br />

rispondendo a una precisa domanda. Forse perché ero eccitato. Altri particolari li<br />

descrissi per averli letti sulla stampa. I militari hanno fatto e disfatto a loro piacere.<br />

Mi limitavo ad assentire».<br />

Non era vero. Non avevo ammesso alcun particolare, non avevo descritto niente di<br />

niente. Tutta la confessione, eccetto la falsa faccenda della pistola che avevo<br />

concesso ai «grippa» per rabbonirli, era stata partorita da loro. Al massimo mi<br />

avranno strappato qualche cenno del capo. Nel verbale, che documenta questo primo<br />

interrogatorio in carcere da parte dei carabinieri, solo quell'«incoscientemente»<br />

poteva far intuire il trattamento di favore cui ero stato sottoposto nella stanza<br />

sotterranea del palazzo di giustizia. Un piccolissimo appiglio per un magistrato, che<br />

avesse voluto vederci chiaro, ma reso ancora più inconsistente da una frase scritta e

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