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ASSASSINO” DI PIAZZALE LOTTO - Misteri d'Italia

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Ma intanto Francesco Paolo Bello, questo Nero Wolfe della «Benemerita»,<br />

continuava per la sua strada. Mentre io mi rallegro per gli improvvisi risvegli del<br />

ricordo, lui procede come un bulldozer. Forte del riconoscimento di Italo Rovelli e<br />

delle inevitabili discordanze fra le mie dichiarazioni e le testimonianze della famiglia<br />

Virgilio; scettico sul particolare dei calzoni ritirati da Sax che non aveva ancora<br />

accertato, detta più volte a verbale i termini «falso» e «stratagemma». È un falso il<br />

fatto che abbia pregato Concetta di rispondere «non c'è» alla telefonata di Silvana,<br />

perché «la fidanzata ha dimostrato di essere molto seria, precisa e onesta verso la<br />

legge e si esclude che Vasapollo Concetta, cugina del Virgilio, si sia prestata a far<br />

ritenere che lo stesso non fosse in casa». D'altro canto - si domanda e ha già la sua<br />

brava risposta pronta - come spiegare che il Virgilio non avesse voglia di parlare alla<br />

fidanzata, se l'indomani le fissò un appuntamento per il pomeriggio «allo scopo di<br />

conseguire l'incontro intimo presso la nota pensione»? Stratagemma è quello di<br />

condurre Silvana in una pensione, «per la seconda volta soltanto in due anni di<br />

fidanzamento». Insomma avrei programmato tre ore di letto, regolarmente registrate<br />

nel libro della pensione, per precostituirmi un alibi di serenità. Anche la «stesura<br />

della nota lettera sul diario personale» è un chiaro indizio di colpevolezza. Secondo il<br />

geniale psicologo in divisa, l'avrei scritta «quasi prevedendo ciò che sarebbe accaduto<br />

e cioè che prima o dopo sarebbero venute fuori le prove del grave fatto delittuoso».<br />

C'era poco da stare allegri con tali premesse, anche se qualcosa avevo raccattato dal<br />

fondo della memoria. Ma non bastava per spezzare il voluto preconcetto che mi<br />

designava al ruolo di omicida. Un capro espiatorio deve presentare alibi cronometrici<br />

e una folla di inattaccabili testimoni. Io avevo un alibi banale, zoppicante, e testimoni<br />

balbettanti, poco attendibili per il grado di parentela. Peggio di così non mi poteva<br />

andare! Allora, tento di aggrapparmi al supposto briciolo di umanità di chi mi sta di<br />

fronte.<br />

«Lei lo sa», imploro, «sono innocente. Non c'entro. Mi aiuti. Cerchi di farlo capire ai<br />

magistrati. La scongiuro. Sono innocente», Francesco Paolo Bello assume un'aria<br />

paterna. Si dice disposto a darmi una mano. Basta che riaffermi la mia colpevolezza.<br />

Poi, ci avrebbe pensato lui a convincere i giudici che non volevo ammazzare; che, al<br />

momento del delitto, ero esaurito. Seminfermità mentale e omicidio<br />

preterintenzionale: quattordici anni di carcere. «Sei giovane e, dopo, potrai avere<br />

ancora tanto dalla vita», mi assicura benignamente. È troppo. Non ci vedo più. Tento<br />

di saltargli addosso, di scazzottarlo. Mi bloccano. Così si conclude l'ultimo<br />

interrogatorio.<br />

Stava per scadere il «fermo». Sapevo che non mi avrebbero scagionato. Eppure, nella<br />

cupa solitudine dei «topi», aspettavo il loro verdetto, quasi fosse possibile un<br />

improvviso dietrofront degli inquirenti. Niente l'autorizzava, ma uno scampolo di<br />

speranza mi era rimasto dentro e illogicamente gli affidavo il mio istinto di<br />

sopravvivenza. Il primo giorno di aprile, mi arrivò addosso la stangata. Il «fermo» era<br />

stato tramutato in stato di arresto. Una massiccia incriminazione: omicidio a scopo di<br />

rapina; furto a mano armata di nove-diecimila lire ai danni del distributore Esso;<br />

detenzione abusiva di una pistola 7,65 con relative munizioni. Si apriva così<br />

l'istruttoria formale.

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