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La società dell'arte. Saggi di sociologia dell'arte moderna - Artonweb

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la sua funzione rischia <strong>di</strong> cadere nel mero arbitrio, oppure nella<br />

subor<strong>di</strong>nazione alle contingenze del mercato.<br />

In gioco, qui, non è solo una concezione etico-sociale<br />

dell’esercizio critico, o al peggio una sua versione moralistica.<br />

In gioco vi è il superamento dell’impasse intellettuale che da<br />

decenni affligge il mondo dell’arte nella sua interezza e che si<br />

esprime nella sua riluttanza, o forse meglio nella sua resistenza<br />

a porre in <strong>di</strong>scussione i propri statuti ontologici. Ed in questa<br />

situazione <strong>di</strong> generalizzata insindacabilità non può che dominare<br />

la contingenza o la parzialità, in cui tutto pare accadere senza<br />

una valida spiegazione. Ciò che viene messo in mostra, nelle<br />

gallerie come nei musei, sembra essere scaturito già pienamente e<br />

indubitabilmente formato, al <strong>di</strong> là <strong>di</strong> ogni possibile <strong>di</strong>scussione,<br />

come se al critico non si chiedesse altro che una presa d’atto<br />

dell’esistente. Come se l’esistente fosse il migliore dei mon<strong>di</strong><br />

possibili 66 .<br />

A ben vedere, insomma, in pericolo è l’idea stessa che qualcosa<br />

possa essere migliorato attraverso l’intervento critico. Allora<br />

non è certo un caso che in ambito anglosassone, negli ultimi anni,<br />

al termine stesso <strong>di</strong> “art criticism” si sia preferito quello, più<br />

ano<strong>di</strong>no, <strong>di</strong> “art writing” 67 . Questa mutazione può essere letta come<br />

il sintomo <strong>di</strong> una crescita <strong>di</strong> in<strong>di</strong>fferenza nei confronti delle<br />

prerogative e/o aspirazioni intellettuali della critica come forma<br />

<strong>di</strong> conoscenza. L’emergere dell’“art writing” non è solo il segno<br />

<strong>di</strong> una mera tendenza belletristica, ma segnala l’autochiusura del<br />

critico entro un orizzonte privato all’interno del quale egli<br />

finisce con l’accettare passivamente solo ciò che il mercato pone<br />

alla sua attenzione 68 .<br />

66<br />

Di ciò pare da tempo persuaso anche A.Bonito Oliva, che nel suo<br />

trionfalistico libretto Arte e sistema dell’arte, De Domizio, 1975,<br />

teorizzava warholianamente “il mercato come opera d’arte”.<br />

67<br />

Cfr. J.J.Charlesworth, The Dysfunction of Criticism, in Art Monthly,<br />

n.269, 2003.<br />

68<br />

In realtà l’acquiescenza e la rinuncia al giu<strong>di</strong>zio manifestata dai<br />

critici non è sempre motivata dalla loro subalternità al mercato ed ha<br />

ragioni più empiriche. Il fatto è che dagli anni Ottanta in poi, infatti,<br />

il lavoro del critico si esplicita, in maniera sempre più massiccia, non<br />

più solo sul piano teorico-interpretativo ed analitico, ma anche e<br />

66

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