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<strong>Journal</strong> <strong>of</strong> <strong>Italian</strong> <strong>Translation</strong><br />
some decisions, in their striking closeness to Cattafi’s text (“The fogs<br />
here last since always” for “Le nebbie qui durano da sempre” in “Prehistory”<br />
[“Preistoria”], for example), or conversely their innovative<br />
departure from it (such as the addition <strong>of</strong> “not made” to create a<br />
new end-line rhyme with “evade” in the poem “Cannot escape”<br />
[“Non si evade”]) underscore the poetic value <strong>of</strong> Ferrarelli’s translations.<br />
The things and images that emerge here are essentially the<br />
same as Cattafi’s, but sometimes with a slightly shifted emphasis, a<br />
refocused gaze. Viewed from different (linguistic) positions, an object<br />
will never be the same to all viewers; there is always a blind<br />
spot. But each gaze, in compensation, brings an aspect <strong>of</strong> the object<br />
into clearer view.<br />
Lina Insana<br />
University <strong>of</strong> Pittsburgh<br />
Stefano U. Baldassarri, Umanesimo e traduzione da Petrarca<br />
a Manetti, “Dimore”, Università di Cassino, 2003, pp. 292.<br />
Diversi sono i meriti di questo volume di Stefano Baldassarri<br />
dedicato alla teoria della traduzione in epoca umanistica (con saggi<br />
in parte già editi, ma qui ampiamente rivisti e aggiornati). Primo fra<br />
tutti è quello della scelta di un ambito storico all’interno della ricerca<br />
traduttologica quanto mai interessante e bisognoso di<br />
puntualizzazioni e sintesi lungimiranti.<br />
Altrettanto meritevole, come sottolinea anche Sebastiano Gentile<br />
nell’Introduzione, la sfida nell’unire nei singoli saggi una visione<br />
analitica e di rigorosa ricerca scientifica ad una dichiarata<br />
destinazione didattica, cui guarda in particolare l’Appendice<br />
antologica con testi in traduzione – prevalentemente a cura dello<br />
stesso Baldassarri – inerenti gli autori trattati nella prima parte del<br />
volume.<br />
L’illuminante sintesi di Baldassarri è anticipata in nuce in quelle<br />
sue pagine “a mo’ di introduzione”, in cui ricorda come a fronte di<br />
un medioevo europeo che “non ha prodotto nessun trattato di<br />
traduttologia” (p.1), nonostante le estemporanee incursioni di un<br />
Dante o di un Ruggero Bacone (e fatto salvo, a monte, l’ambito<br />
della patristica: penso alle pagine di un S. Girolamo o di un<br />
Sant’Agostino, peraltro riportate in Appendice), il secolo compreso<br />
tra l’opera di traduzione omerica di Leonzio Pilato e l’anno della<br />
scomparsa di Manetti, il 1459, vede l’avvio di uno straordinario<br />
lavoro teorico e pratico di traduzione. Un lavoro che resterà