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<strong>Journal</strong> <strong>of</strong> <strong>Italian</strong> <strong>Translation</strong><br />
Questa espressione lingua madre si riferisce al momento primo<br />
di trasmissione della parola, spesso adempiuto dalla madre stessa,<br />
così vicina al bambino nei primi mesi di vita. Sono stata io che<br />
scandivo la sillaba dell’oggetto a mio figlio Luca, indicandolo e<br />
avvicinandoglielo, facendoglielo toccare. Io a correggergli la<br />
pronuncia. E a narrargli la favola e cantargli ninnananne di nonne e<br />
mie.<br />
Lo sguardo obliquo, preciso come un ago di luce, dalla madre<br />
alla bocca del bambino e viceversa (così felicemente dipinto nel<br />
trecento e quattrocento cinquecento) espone tanta intimità<br />
relazionale. Ma è un’intimità comunicativa che nasce prima della<br />
parola non nell’atto della prima parola. Si origina già da quando il<br />
bambino o la bambina è in pancia. Si moltiplica quando il bambino<br />
usa tutto un registro espressivo e fonetico per la sua articolata gamma<br />
emotiva e le sue urgenze. La madre comprende, risponde, cor/<br />
risponde. E lo fa usando quell’interezza ricettiva espressiva e<br />
comunicativa citata da me precedentemente.<br />
La lingua è un veicolo omologato dalla cultura e dalla società<br />
presente. Un fiume la cui corrente è speculare ad un stato culturale<br />
della società. Una trasmissione costante, di bocca in bocca, di<br />
un’interpretazione del mondo fatta collettiva, istituzionalizzata,<br />
scolasticizzata. Questa mia esasperata semplificazione considera<br />
certamente le tante ricchezze e differenze incluse. Ma mi serve per<br />
interpretare il soggetto madre come passivo quasi, automatico quasi,<br />
nell’azione dell’insegnamento linguistico.<br />
Da qui, confermo che non sono d’accordo con questo uso abuso<br />
di dire o scrivere lingua madre.<br />
Nella società occidentale fino ad oggi, la radice materna, se c’è<br />
e c’è, nasce e abita quella preistoria forte, tatuante, del non verbale,<br />
di un linguaggio intero dentro cui la parola non è necessaria o non<br />
ancora maturata. Così come, ulteriormente, nelle tre esperienze da<br />
me riportate e nella comunicazione orale dei sordomuti.<br />
A volte c’è una soglia vivissima tra il silenzio prolungato, come<br />
stato interiore di digestione/ruminazione dell’esperienza,<br />
movimento del sentire, e la parola. Dopodichè la parola viene<br />
pronunciata con intensità potente, drammatica, desiderosa del<br />
confronto, del con/tatto. La parola è desiderio e fiducia e affidamento<br />
all’altro. Si proietta dall’interiorità del sentire come chiamata verso<br />
l’altro. Verso un’altra creatura, verso un creato rispondente. Verso