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262<br />

<strong>Journal</strong> <strong>of</strong> <strong>Italian</strong> <strong>Translation</strong><br />

biblioteca greca e l’istituzione della prima cattedra europea di greco,<br />

ma non una reale acquisizione personale, da parte di Salutati, di<br />

questa lingua e del suo tanto lodato patrimonio culturale, Baldassarri<br />

si s<strong>of</strong>ferma sugli altri meriti traduttologici di Salutati. Questi, infatti,<br />

riconosciuto il ruolo determinante della conoscenza e circolazione<br />

delle opere omeriche e plutarchee, si sforzò di rivedere l’ “horrido<br />

stilo” (p. 68) in cui erano state volte in latino quelle opere capitali,<br />

mettendo in pratica l’ attenzione “ai concetti, non alle parole” che<br />

egli raccomandava al Loschi, revisore della traduzione leontea<br />

dell’Iliade omerica (pp. 70-71: “Res velim, non verba, consideres”).<br />

La questione della ri-creazione del pensiero, ma anche dello stile,<br />

acquisisce per lui una centralità tale da spingerlo fino all’ardita<br />

impresa di una parziale versione latina dell’amata Commedia<br />

dantesca, avendo ben presente, per i suoi esametri, il modello<br />

virgiliano (così come Cicerone primeggiava tra i modelli stilistici<br />

delle sue traduzioni, o meglio ‘revisioni’ plutarchee: cfr. p. 70).<br />

Certo, l’entusiasmo salutatiano per il suo “divinissimus Dantes”<br />

(p. 78) non fu parimenti condiviso da un erede ideale di Salutati<br />

come Leonardo Bruni (e qui va ricordata l’edizione dei Dialogi ad<br />

Petrum Paulum Histrum curata dallo stesso Baldassarri: è in<br />

quest’opera che Bruni prende le distanze da quel mito dantesco).<br />

Tuttavia, nelle sue innumerevoli e fondamentali traduzioni dal greco,<br />

Bruni condivide la stessa attenzione per pensiero e stile assieme,<br />

riuscendo inoltre, a differenza del suo maestro, a mettere a frutto<br />

fino in fondo l’insegnamento della lingua greca da parte del<br />

Crisolora, in versioni quali quelle del Fedone platonico e dell’Etica<br />

aristotelica, per ricordare solo due pietre miliari. Così come una pietra<br />

miliare resterà il suo incompiuto trattato, De interpretatione recta, di<br />

cui Baldassarri fornisce una limpida traduzione nell’apparato in<br />

Appendice. E’ in questo trattato che Bruni esalta l’arduo compito<br />

del traduttore, che di autori quali Aristotele e Platone non deve solo<br />

rendere con chiarezza e pienezza concetti e idee, ma in egual misura<br />

il “loro stile elegantissimo, ricco di detti e massime di antichi poeti,<br />

retori e storici” (p. 197). Un esempio per i più importanti traduttori,<br />

a cominciare da Lorenzo Valla, è quel Giannozzo Manetti, il cui<br />

Apologeticus deve tuttora difendersi dalle accuse di plagio rispetto<br />

al trattato bruniano (cfr. pp. 114-125), sebbene – ricorda Baldassarri<br />

– il principio umanistico dell’auctoritas sia tutt’altro rispetto al plagio<br />

e sebbene, soprattutto, alla fine Bruni si riveli “inferiore al suo<br />

alunno” (p. 125), in quanto “Manetti è probabilmente il primo<br />

umanista ad aver acquisito sufficiente conoscenza dell’ebraico da

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