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Anna Maria Farabbi<br />

labiodentale sonora v, al fenomeno della j, alla conservazione della<br />

sorda. Come non sentire tanto medioevo in tanta vicinanza alla lingua<br />

volgare.<br />

Entrare nella parola, nel suo segno e nella molteplicità dei suoi<br />

significati, impegna ad essere obbligatoriamente colti. Nel senso del<br />

verbo coltivare. Così come si coltiva la terra. Anche la terra interiore.<br />

Il dire e soprattutto il tacere nell’ascolto e nell’elaborazione. Scrivo<br />

da quando avevo 14 anni: la mia penna verticale si è fatta obliqua,<br />

inclinata come spesso il volto di una persona che si flette verso l’altra,<br />

o come lo gnomone di una meridiana che vive di luce proiettando<br />

la sua scrittura ombra. Per il mio viaggio interiore, per la mia ricerca<br />

diretta ad un maggior nitore espressivo, ho avuto desiderio e bisogno<br />

di andare dentro altre lingue. Soprattutto per raggiungere,<br />

incontrare, toccare e penetrare più nel pr<strong>of</strong>ondo opere scritte, anime<br />

di altre lingue. Il francese e l’inglese. Da qui, sono cresciuta<br />

attraversando lo spaesamento e la ricomposizione di me, del mio io<br />

di appartenenza e conoscenza, del mio io linguistico.<br />

La traduzione<br />

Un ricordo caro, per esempio.<br />

Da bambina. La mia carissima amica mi implorò di dirle per<br />

filo e per segno cosa avessi visto. Perché lei non avrebbe potuto<br />

averne i mezzi, mai. E allora che mi mettessi di tanta pazienza e<br />

responsabilità a portarle il mondo di cui avevo avuto esperienza.<br />

Subito le dissi di non esserne in grado. Che era impossibile. Forse,<br />

disse lei, ma è necessario per te e me.<br />

Tradurre come fare un ponte e poi camminarlo e renderlo<br />

camminabile da altri. O abitare il viaggio di una carovana di sale.<br />

Ogni proprio cammello carico del sale straniero. Farsi stranieri a se<br />

stessi. Imparando la pratica della relazione, della distanza, della<br />

pazienza e della responsabilità del portare, con umiltà.<br />

La prima autrice piena di sale, da me amata e lavorata fino<br />

all’ossessione, è stata Kate Chopin. Poi ho percorso gli altri due viaggi<br />

pr<strong>of</strong>ondi: Peter Russel e Madame d’Aulnoy.<br />

Ogni volta l’atto di questa mia pontificazione è stato mosaico<br />

di durissima disciplina. Una concentrazione di veglia e cura da cui<br />

ne esco sempre estenuata, emersa dopo un’apnea. A compimento,<br />

la lingua mia ne risulta ossigenata, innestata, ampliata non solo di<br />

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