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<strong>Journal</strong> <strong>of</strong> <strong>Italian</strong> <strong>Translation</strong><br />

a capotavola, interruppe la degustazione di una magnifica pera, con<br />

accompagnamento di parmigiano stravecchio, per dire che<br />

nell’ottobre del 1862, quando aveva quattro anni, suo padre lo aveva<br />

portato al forte del Varignano, a vedere Garibaldi ferito ad<br />

Aspromonte. Mia nonna contemplava, come sempre, mio nonno,<br />

tacendo. Mia sorella Franca, tre anni più piccola di me, s’era<br />

addormentata sulle ciliegie. Mia madre, donna di gran carattere, si<br />

accese una «Macedonia Oro» (roba di quel tempo) e disse: «Beh!<br />

L’ultimo dei grandi italiani! E Mussolini?». «Cosa c’entra! » scattò<br />

mio padre, con la giacca del pigiama sui pantaloni da ufficiale.<br />

«Mussolini è grande in un settore del tutto diverso! E quanta<br />

deferenza, quando incontra D’Annunzio! ».<br />

Mio padre chiese al colonnello Pugliese il permesso di<br />

aggregarmi alla spedizione. Naturalmente, a sue spese. Il colonnello<br />

girò la richiesta al Ministero della Marina. Il Ministero, previo il<br />

parere favorevole della Direzione del Personale, rispose di sì. Si era<br />

in giugno. Avevo appena compiuto non so se 10 o 11 anni. Mancava<br />

una settimana alla partenza. Mi fu acquistato un vestito alla marinara<br />

bianco, completo di berretto con la scritta «Regia Nave Dante<br />

Alighieri». Dovetti imparare a memoria il sonetto «O giovinezza! »<br />

(«O giovinezza, ahi me, la tua corona! su la mia fronte è già quasi<br />

sfiorita... ») nell’eventualità che l’Imaginifico mi chiedesse di<br />

recitargli qualcosa di suo. Su indicazione di mio padre, il siciliano<br />

Rosario Tafuri, noto alla Spezia come «barbiere degli ammiragli»,<br />

eliminò i miei riccioli sbarazzini con un geometrico taglio<br />

all’Umberto. Adeguato al carattere militare della « missione al<br />

Vittoriale» (nei carteggi ministeriali era così definita).<br />

Partimmo agli sgoccioli di quel giugno, con un treno del tardo<br />

pomeriggio, che dalla Spezia ci portò a Genova. Da dove, cambiando<br />

treno, alle prime luci dei giorno, arrivammo a Milano. Lì la<br />

«rappresentanza» guidata dal colonnello Pugliese fece tappa, fin<br />

verso mezzogiorno, in un albergo a pochi passi dalla stazione.<br />

Quindi, si rimise in viaggio per Brescia. Dove, appena scesa<br />

dal treno, fu distribuita su due grandi automobili scure e circa un’ora<br />

dopo scaricata nell’Eremo di Gabriele, proprio di fronte alla villa<br />

denominata «La Priorìa». L’abitazione vera e propria del Filibustiere<br />

del Quarnaro. Il quale ci stava aspettando davanti alla porta della<br />

villa, con un gigante barbuto alle spalle. Me l’ero immaginato non<br />

molto alto, ma snello. Invece, era più tozzo che basso. Indossava un<br />

abito di gabardine di un marrone molto chiaro. Sulla camicia avorio

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