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Book Reviews<br />

261<br />

fondamentale nella storia e nello sviluppo europeo degli studia<br />

humanitatis, con il recupero anche dell’ebraico, accanto al greco e al<br />

latino, fra le lingue culte dell’Umanesimo. Quello che cambia in<br />

questo secolo rispetto al passato è anzitutto il riconoscimento<br />

dell’importanza e della complessità dell’operazione del tradurre, il<br />

che allo stesso tempo dà fama e onore al traduttore in quanto tassello<br />

imprescindibile di quel recupero e restauro della cultura classica<br />

alla base dell’Umanesimo europeo. Pur riconoscendo a pieno la<br />

centralità fiorentina in questo ambito, Baldassarri è attento a non<br />

cadere nella trappola dell’idealizzazione incondizionata di questo<br />

contesto artistico e intellettuale (cfr. p. 7) che dà il meglio di sé nei<br />

momenti di maggiore scontro civile e ideale, specialmente con<br />

l’inossidabile tradizione scolastica. E se lo scontro in campo<br />

traduttologico può essere sintetizzato nell’opposizione tra una<br />

traduzione ad verbum di quella retroguardia culturale e una<br />

traduzione ad sententiam dell‘avanguardia umanistica, le posizioni<br />

e le sfumature – e spesso la distanza tra teoria e prassi, avverte<br />

Baldassarri: p. 10 – si moltiplicano passando all’analisi dei singoli<br />

casi ed autori.<br />

E’ evidente ad esempio che il caso della Griselda petrarchesca<br />

analizzato nel primo capitolo (Griselda, ovvero la “bella infedele” di<br />

Petrarca) è tutt’affatto speciale nell’eccezionalità dell’operazione di<br />

vera e propria rielaborazione tematico-stilistica della novella<br />

boccacciana, così come per la sua importanza per la circolazione e<br />

l’immensa fortuna di questa novella a livello europeo. Nonostante<br />

la consueta riluttanza petrarchesca ad ammettere l’impegno di certe<br />

sue raffinate operazioni letterarie, il lavoro di riscrittura e<br />

reinterpretazione in chiave allegorico-morale e propriamente biblica<br />

(Libro di Giobbe in primis: cfr. p. 42) della novella del Decameron e<br />

l’attenzione alle scelte e alle variazioni stilistiche smentiscono la<br />

lettura della trasposizione latina petrarchesca come estemporaneo<br />

divertissement, confermando invece l’importanza di quest’opera<br />

traduttiva che “apre una nuova fase nella storia della letteratura<br />

italiana, inaugurando allo stesso tempo la produzione novellistica<br />

degli umanisti e quel dibattito sul valore morale della loro<br />

produzione che caratterizzerà la fine del medioevo e l’inizio di un<br />

nuovo corso laico e classicista” (pp. 36-7).<br />

Ma è con il Coluccio Salutati “dantista e traduttore” del secondo<br />

capitolo che si entra nel vivo della traduttologia umanistica<br />

fiorentina. Chiarito che la straordinaria ‘importazione’ del bizantino<br />

Manuele Crisolora comporta l’arrivo a Firenze di una preziosa

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