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Anna Maria Farabbi<br />
una condivisione di segni e significati. Verso il baratto del proprio<br />
punto di vista. Qui, secondo me, sta la madre. In una nominazione<br />
che non è dominazione del mondo, possesso del conosciuto e del<br />
pensato, non è rigida e semplicistica catalogazione del mondo ma<br />
estensione orale o scritta del sé, affaccio e ri/nascita, es/posizione<br />
aperta, umile, nella relazione con il mondo e con l’altro. Alcuni<br />
psicanalisti mi hanno descritto momenti/attraversamenti simili di<br />
certi pazienti durante le loro sedute. Veri e propri ponti di silenzio<br />
sospesi sul proprio vuoto interiore. Ricreando successivamente la<br />
parola come terra. Di accoglienza e ospitalità camminabile per l’altro.<br />
E io credo che sia da qui che occorra recuperare e lavorare la radice<br />
materna.<br />
L’ascolto il dire e l’ascolto.<br />
Nei ciechi l’ascolto è sempre drammatico perché è la via di<br />
orientamento oltre quella della tattilità. E anche qui, in questa<br />
quotidiana modalità esistenziale, comportamentale, relazionale<br />
sento la madre. L’intensità e l’intimità nell’essere costantemente,<br />
senza tregua, presenti a sé stessi e al mondo per stare al mondo.<br />
Umilmente nell’io.<br />
Il dialetto in poesia.<br />
Molti poeti, forse la maggior parte, indicano l’uso del dialetto<br />
come la via più prossima alla madre.<br />
Anche il dialetto come la lingua è, secondo me, il riflesso di<br />
una cultura e di una società. E’ filiato da una società patriarcale, sia<br />
essa derivante da un contesto contadino che urbano. Anche in questo<br />
caso per me, come nella lingua, la madre parla al figlio, ma è il mondo<br />
del padre a manifestarsi linguisticamente attraverso la sua bocca.<br />
Il dialetto nasce da un abbassamento, per così dire, rispetto<br />
alla lingua. Come se il baricentro corporale per la sua pratica non<br />
fosse più collocato nella fronte scolasticizzata, ma in un punto<br />
compreso tra il cuore e l’ombelico. Uscisse fuori da qualsiasi<br />
regolamentazione e fissità scrittoria. Si veicolasse soltanto attraverso<br />
la propria sonorità, sintesi e velocità.<br />
E’ difficilissimo oggi, in una società come la nostra, dentro<br />
contaminazioni linguistiche assillanti e assordanti, prendere dai<br />
propri polmoni l’aria del dialetto di appartenenza e scriverla in<br />
poesia. Io credo che non basta sentire l’urgenza di un’identità<br />
territoriale marcata, non basta evitare la retorica e la documentazione<br />
archeologica, come l’eccessivo lirismo nostalgico, sentimentale,<br />
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