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testo pdf - Piccolo Principe

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Ha un figlio, nato da una relazione con una donna che però non sposa. Successivamente prende in moglie<br />

Awa Ture, di professione sarta, dalla quale ha 3 figli. Nei primi anni di matrimonio la mamma di Babacar si<br />

ammala gravemente. La donna abita a Dakar dove ha una casa, ma costretta in carrozzella perde<br />

l’autosufficienza e viene accolta, per essere accudita, dalla famiglia di Babacar a Kaolack. E’ facile<br />

comprendere come nel giro di pochi anni Babacar si trovi a fronteggiare una situazione economica che via via<br />

si fa più difficile. Lo stipendio da carrozziere non basta a mantenere l’intera famiglia, la madre necessita di<br />

cure costose per potersi ristabilire, e le entrate non possono più contare sul contributo di Awa, che impegnata<br />

nell’accudimento dei figli e della suocera, ha abbandonato il lavoro di sarta.<br />

E’ in questo difficile momento, che nonostante l’attaccamento alla sua famiglia ed alla sua terra, Babacar<br />

medita il suo progetto migratorio e nell’intento di garantire un’esistenza decorosa alla famiglia decide di<br />

emigrare in Europa in cerca di fortuna.<br />

Il percorso migratorio<br />

L’occasione gli arriva a metà degli anni novanta, con l’aiuto di alcuni connazionali a cui è legato da lontani<br />

vincoli di parentela e che già risiedono nel nostro Paese, riesce ad approdare in Italia, dove viene accolto<br />

nella loro abitazione in un comune nell’hinterland di Milano.<br />

In effetti inizia da subito a lavorare come operaio in diverse cooperative, dove acquisisce professionalità come<br />

operaio polivalente: saldatore soprattutto, ma anche verniciatore e gessista. Manda la metà dello stipendio alla<br />

famiglia, con la quale mantiene regolari contatti telefonici.<br />

Dopo circa quattro anni riesce a tornare in Senegal per un periodo di vacanza, ed è in quell’ccasione che<br />

viene concepita l’ultimogenita, che però non è mai riuscito a conoscere ed ora ha cinque anni.<br />

Rientrato in Italia lavora in modo continuativo, con l’idea di ricongiungersi con l’intera famiglia a Milano.<br />

Durante un lavoro di saldatura però, un incidente all’occhio destro lo costringe a fermarsi. Viene operato, ma<br />

non riacquista completamente la vista e l’occhio rimane offeso. Da questo momento, anche a causa della<br />

solitudine data lontananza dalla famiglia e dal suo con<strong>testo</strong> d’origine, inizia a frequentare locali notturni e<br />

discoteche. Inevitabilmente, assieme ai suoi amici connazionali, viene a contatto con sostanze psicotrope<br />

(marijuana e cocaina) e pur non diventando tossicodipendente comincia a farne uso e a detenerne dosi in<br />

piccola quantità nella casa che divide con gli amici. E’ a seguito di un controllo da parte delle forze dell’ordine<br />

che viene arrestato e condannato a 4 anni di detenzione.<br />

L’esperienza detentiva<br />

E’ durante il periodo detentivo, costretto ad un periodo di forzata inattività, che Babacar ha modo di mettere a<br />

frutto questa esperienza totalizzante riflettendo e facendo una revisione critica sul suo percorso migratorio e<br />

sui trascorsi che lo hanno portato alla condanna, assumendosi ogni responsabilità per l’accaduto – in modo<br />

anche sin troppo rigido - e pianificando nuovi progetti per il futuro. Comincia ad affermare con forza e<br />

convinzione il suo desiderio di cambiare vita una volta uscito dal carcere, assicurando agli operatori che non<br />

riprenderà per nessun motivo la vita sregolata degli ultimi mesi, né tantomeno l’uso di sostanze stupefacenti.<br />

Non nasconde la sua condizione di detenuto alla famiglia, che sente settimanalmente durante la telefonata a<br />

cui hanno diritto le persone recluse, e a cui continua a mandare denaro. Di fatto, durante la sua detenzione,<br />

Babacar si è integrato nel difficile con<strong>testo</strong> del carcere, ha potuto costruire relazioni significative sia con gli<br />

Educatori Penitenziari che con tutti gli Operatori Sociali che a vario titolo si sono occupati del suo caso.<br />

Stimato anche dagli Agenti di reparto del Corpo di Polizia Penitenziaria per i suoi modi educati ed il rispetto<br />

delle regole intramurarie, inizia presto (tenuto conto dei tempi dilatati dell’Amministrazione Penitenziaria) a<br />

lavorare in mensa, dove si impegna con serietà ed entusiasmo, e gli viene perciò rinnovato l’incarico per tre<br />

anni.<br />

Nell’ultimo anno di detenzione inizia a lavorare presso la PC Det srl, società con forte mission sociale, nata<br />

per sviluppare l’inserimento lavorativo di soggetti detenuti. Pc Det conta su un punto vendita di PC usati a<br />

Novate Milanese, ma ha anche un’unità operativa all’interno del carcere che segue la manutenzione e<br />

l’assemblaggio delle parti informatiche. Il suo scopo è valorizzare e sviluppare il lavoro intramurario, previo<br />

periodo formativo che permette ai lavoratori di acquisire specifica professionalità nel settore, spendibile anche<br />

sull’esterno.<br />

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