Dell'ingegno poetico di Cicerone.pdf - EleA@UniSA

IV . — De Temporibus meis.
Il Vossio *) credette una sola opera il poema de
consulatu meo e il de temporibus meis, adducendo,
tra le altre ragioni, anche quella di non aver mai,
nelle opere ciceroniane, rinvenuto un’ indicazione
precisa del primo. Ma, se non erriamo, Cicerone fa,
esplicitamente, menzione del poema consulatus nel
de divinitate2) e in due lettere indirizzate ad Attico,
una del 15 marzo 693 3), e un’altra del decembre
dello stesso anno 4), in cui sono pure riportati tre
versi (i soli che ci restino) del I II Libro; laddove,
solo nel settembre del 699, parla a Lentulo dei tre
libri de temporibus meis, quos, dice al benefattore, ad
te misissem, si esse edendos putassem 5). P ar si tratti,
quindi, di due lavori distinti. Cicerone cantava nel
primo le gesta del suo consulato, ne quod genus a
se ipso Iciudis suae praetermittatur : nel secondo, l’esilio
e il suo ritorno in patria. Ebbene quest’ultimo,
come testimonio perenne della sua riconoscenza, dedicava
a Lentulo, che gli aveva steso la mano amica
*) Vossio. Hist. lat. 1. 12.
2) De div. 1, 11, 17 : « Sed quo potius utar an auctore aut
teste, quam te ? cuius edidici etiam versu s, et libenter quidèm ,
quos in secando consulatu Urania musa pronuntiat ? » .
3) Ad Att. I, 19, 8 : Dopo aver detto che ha mandato un commentario
in greco sul suo consulato (consulatus mei) e promesso
di mandarne un secondo in latin o , aggiunge : « Tertium poema
expectato, ne quod genus a me ipso laudis praeterm ittatur. » Anche
del consolato parlava, dunque, questo poema.
4) Ad Att. H , 3, 8.
6) Ad fam. I, 9; 23.