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turnover è a somma zero, si nota tale rego<strong>la</strong>rità per tutti gli anni '40 e
'60, e sebbene con uno scarto negativo di circa il 5%, anche per gli
anni '70, per un totale di ben 21 anni su 31.
Le considerazioni fatte
per i trentenni valgono anche per i
quarantenni, anche per loro si evidenzia una distribuzione dei
licenziamenti che nel<strong>la</strong> maggior parte dei decenni considerati
uguaglia <strong>la</strong> percentuale degli entrati (si evidenzia una percentuale di
licenziatidell’8,6%, a fronte dello 8,01% di assunti).
La stessa proporzione tra entrati e usciti si osserva anche per quasi
tutti gli anni ’50 e per gli anni ’70. I soli periodi in cui si evidenzia
uno scarto fra ingressi e uscite (anche se lo scarto è minimo, intorno
al 5%), sono gli anni dal 1945 al 1950, in cui si riscontra una
percentuale di ingressi di circa il 20% a fronte del 15% di uscite, e gli
anni ’60, in cui <strong>la</strong> situazione si ribalta, con gli assunti prossimi al 5%
e i licenziati intorno al 10%.
Le indicazioni che vengono dall’analisi degli assunti oltre i
quarant’anni appaiono confermate dai dati sui licenziamenti.
L’unico periodo in cui il saldo tra entrati e usciti è positivo,
segna<strong>la</strong>ndo un ingresso costante di operai del<strong>la</strong> c<strong>la</strong>sse, sono gli anni
’40, sui quali è probabile incida <strong>la</strong> situazione postbellica.
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