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acta ordinis fratrum minorum - OFM

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A07nterno:ACTAORDINIS 16/5/07 16:36 Page 4242 AN. CXXVI – IANUARII-APRILIS 2007 – FASC. Idelle pagine più belle del Vangelo, quellaerroneamente chiamata la “parabola del figlioprodigo”, perché in realtà, stando al testo,si tratta della “parabola del padre misericordioso”.È vero che nel testo si toccanoi sentimenti più diversi del figlio più giovane:la vergogna, l’estrema necessità, la nostalgia,il pentimento e il coraggio di tornare.Ma è anche vero che il protagonista ditutto il racconto è il padre: è lui a rispettarela scelta del figlio minore, dividendo le sostanze;è lui a scorgere il figlio, quando eraancora lontano; è lui ad andarli incontro; èlui a gettargli le braccia al collo; è lui che lobacia ed ordina che gli vengano messi nuovivestiti e che gli venga messo l’anello aldito, restituendogli così la dignità di figlio.In tal modo possiamo ben dire che questaparabola è un canto alla misericordia del padre,un canto che diventa festa per quantivogliono essere complici del suo amoresenza limiti, scandalo per coloro che, comeil figlio maggiore, si sentono in regola e nonsentono il bisogno di essere perdonati e,forse, neppure di essere amati. Sì, siamo difronte a un canto all’amore, alla misericordiae al perdono di Dio; un canto al Dio“sempre pronto al perdono”, perché “riccodi misericordia”, come spesso ci ricordano iSalmi; un canto al “Dio amore”, come lodefinisce san Giovanni.Ma se il padre è il protagonista, il leitmotivdella parabola è la gioia, una gioiaprofonda che diventa festa. Anzi la gioia è illeitmotiv delle tre parabole del capitolo 15di Luca: gioia è il sentimento sperimentatodal pastore che recupera la pecora smarrita;gioia è il sentimento profondo che prova ladonna quando ritrova la dracma perduta;gioia è il sentimento del padre nell’abbracciareil figlio che aveva abbandonato la casapaterna; gioia, infine, di Dio per un peccatoreche si converte.A questo punto dobbiamo domandarci:qual è la fonte, la sorgente della gioia di cuisi parla nella nostra parabola? Ripensandoal brano del Vangelo di oggi, è evidente chela ragione ultima della gioia è la comunionecon il padre e con i fratelli. Comunione che,secondo la parabola, viene infranta sia daicomportamenti del figlio più giovane, cheparte “per un paese lontano” e là sperpera“le sue sostanze”, sia dall’atteggiamentodel figlio maggiore che, pur restando in casa,non parla il linguaggio del padre: “questotuo figlio…”. Senza la comunione il primosi trova nell’estremo bisogno e il secondoè vittima dell’autoreferenzialità e forseanche della gelosia. Senza la comunione nél’uno né l’altro possono far festa. Il più giovanefarà festa soltanto dopo essere statoabbracciato dal padre, il secondo farà festasoltanto se, riconoscendo nell’altro il fratello,si decide a entrare con il padre nella saladel banchetto.In quale dei due figli ci riconosciamo?Forse ci troviamo a più agio nella veste delfiglio “più giovane”. E allora, avremo la luciditàe l’audacia di alzarci e tornare dal padre?Forse ci riconosciamo nella veste del“figlio maggiore”. Se è così, avremo il coraggiodi entrare nella sala del banchetto,per fare festa con un fratello anche se diversoe forse peccatore? Forse ci riconosciamoin tutti e due. Che importa? Nel primo o nelsecondo caso, o in entrambi, la cosa certa èche i due sono invitati ad “entrare in se stessi”e a cambiare atteggiamento verso il padree verso il fratello. A questo punto pensoche tutti noi, se abbiamo un minimo di capacitàper “entrare in noi stessi”, ci sentiremointerpellati a “nascere di nuovo” (Gv3,3), come con forza ci ha chiesto il Capitologenerale 2003; a lasciarci riconciliarecon Dio, come ci supplica Paolo nella secondalettura di questa domenica (2Cor5,20); a convertirci, cioè, a cambiare il cuore,trasformando il cuore di pietra, insensibileal volere di Dio, in un cuore di carne,docile al suo volere; a cambiare la mente,affinché i nostri pensieri corrispondano aquelli del Signore; a cambiare i nostri atteggiamenti,affinché i nostri comportamentisiano in sintonia con il progetto di Dio su dinoi. Siamo chiamati, in definitiva, a “convertircie a credere al Vangelo” (Mc 1,15),assumendolo come “vita e regola” (Rb 1,1),come centro della nostra esistenza, comecriterio primo ed ultimo del nostro discernimento.Siamo chiamati, particolarmente inquesto secondo anno di preparazione allacelebrazione dell’VIII Centenario della

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