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A RITROSO SCRIVENDO

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I FRATELLI MUSSOLINI: LA POLITICA E GLI AFFETTI<br />

Caro Romano, in un articolo pubblicato sul Popolo d’Italia,<br />

del 13 dicembre 1924, Arnaldo Mussolini scriveva: «Checché ne<br />

dicano gli avversari, il delitto Matteotti non si inserisce nella storia e<br />

nel Regime, ma è un episodio truce, doloroso, che prima di colpire<br />

il socialismo ha colpito il Fascismo!». Il senso di questa affermazione<br />

anticipava, in pratica, quello che sarebbe poi divenuto il ben più<br />

famoso discorso pronunciato dal fratello Benito il 3 gennaio successivo<br />

e che avrebbe dato il via alla dittatura fascista. Ed è una<br />

conferma di quanto non solo fossero in simbiosi politica i due fratelli<br />

Mussolini, ma di come Arnaldo fosse anche «organico» ai successi<br />

del regime. Al punto che, in una raccolta di suoi scritti, viene sottolineato<br />

«il contributo vitale» che l’allora direttore del Popolo d’Italia<br />

diede alla «conciliazione» con la Chiesa cattolica realizzatasi poi<br />

coi Patti Lateranensi del 1929. Ma quale sarebbe potuta essere l’influenza<br />

di Arnaldo sulle scelte future del fratello maggiore se non<br />

fosse prematuramente scomparso nel 1931?<br />

A firma Mario Alberti, Noceto (Pr)<br />

Caro Alberti, Arnaldo Mussolini morì il 21 dicembre 1931 all’età<br />

di 46 anni. Aveva diretto il Popolo d’Italia dal giorno in cui Benito<br />

era diventato presidente del Consiglio ed era stato da allora il<br />

braccio milanese del fratello maggiore, l’uomo che teneva i contatti<br />

con gli ambienti economici e sorvegliava la macchina del partito<br />

in una città dove il fascismo era nato, ma in cui il dissenso antifascista<br />

non era mai scomparso. Assomigliava a Benito, ma era<br />

miope e non aveva né lo sguardo penetrante né i tratti marziali<br />

con cui il capo del governo aveva costruito la sua icona. Era stato<br />

maestro, come il fratello, ed era un buon giornalista politico, capace<br />

di argomentare senza ricorrere all’irruenza polemica che era la<br />

chiave, spesso fin troppo usata, del capo del governo. Non aveva<br />

combattuto nella Grande guerra, aveva fatto politica nelle retrovie<br />

piuttosto che in prima linea e non aveva mai accettato l’invito<br />

a candidarsi nelle elezioni nazionali. Sotto la sua direzione Il Popolo<br />

d’Italia evitò i trionfali inni al Duce che sarebbero diventati il fastidioso<br />

ritornello della stampa fascista negli anni seguenti. Quando<br />

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