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sione <strong>del</strong>la solid<strong>it</strong>à e <strong>del</strong>la permanenza sul Web. [...] Lo Shredder presenta<br />

questa struttura globale come un collage caotico, irrazionale, stridente.<br />

Alterando <strong>il</strong> codice Html, prima che <strong>il</strong> browser lo possa leggere, lo Shredder<br />

si appropria dei dati <strong>del</strong> Web, trasformandolo in un Web parallelo. I<br />

contenuti diventano grafica. Il testo diventa grafica. L’informazione diventa<br />

arte. 24<br />

Dunque lo Shredder si appropria <strong>del</strong> Web, o <strong>del</strong> modo convenzionale in<br />

cui i browser lo rappresentano, per trasformarlo in qualcos’altro. In questo<br />

senso non si discosta molto, a livello concettuale, dalle Distorted Barbies.<br />

Se deformando le bambole, l’artista newyorkese aveva riut<strong>il</strong>izzato<br />

materiali protetti da copyright, con lo Shredder creava uno strumento per<br />

automatizzare questo processo sul Web. In questo caso, infatti, l’appropriazione<br />

non riguardava solo i contenuti, ma investiva anche lo strumento,<br />

non più in grado di funzionare come era stato progettato.<br />

Ma <strong>il</strong> browser più importante confezionato dall’artista americano è<br />

certamente Riot che riprende i meccanismi<br />

<strong>del</strong>lo Shredder, introducendo nuove funzional<strong>it</strong>à. Producendo un’effetto<br />

visivo di forte saturazione, Riot è infatti <strong>il</strong> primo browser multiutente. È<br />

cioè <strong>il</strong> primo browser che consente all’utente di visualizzare i contenuti<br />

dei s<strong>it</strong>i che sta navigando simultaneamente a quelli scelti dagli altri utenti<br />

che sono collegati a Riot nello stesso momento. Il browser tiene infatti in<br />

cache (in memoria) tre Url per volta. Ogni volta che se ne seleziona una<br />

nuova, questa si sovrappone alle due più recenti, “espellendo” la terza<br />

dalla lista. Sebbene la posizione e le dimensioni dei singoli oggetti (immagini,<br />

link, testi) vengano notevolmente alterate, tutti i link rimangono<br />

attivi: “Nei primi giorni in cui fu lanciato – racconta l’autore – c’erano<br />

persone collegate a Riot di continuo. Così se dig<strong>it</strong>avi una Url, nell’intervallo<br />

di tempo in cui la pagina si caricava, la tua Url poteva già essere diventata<br />

la seconda <strong>del</strong>la lista, perché qualcun altro, nel frattempo, ve ne<br />

aveva già messa un’altra sopra – un uso veramente ideale di Riot. Le tue<br />

scelte vengono così sfidate e contraddette con la stessa rapid<strong>it</strong>à con cui le<br />

prendi”. 25 Alla luce di queste considerazioni, è evidente come Riot metta<br />

in discussione due assunti che diamo normalmente per scontati: la navigazione<br />

<strong>del</strong> Web come esperienza solipsistica e l’omogene<strong>it</strong>à dei contenuti<br />

all’interno di uno stesso s<strong>it</strong>o.<br />

Sovrapponendo più s<strong>it</strong>i all’interno di un’unica finestra, Riot trasforma<br />

automaticamente l’utente in un’artista concettuale. Se Duchamp, con i<br />

suoi ready-made, metteva i baffi alla Gioconda e rovesciava i pisciatoi in<br />

fontanelle, l’utente di Riot può mescolare i s<strong>it</strong>i porno con quelli d’arte,<br />

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