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messa in pratica di un’arte processuale e non oggettuale da scelta polemica<br />
nei confronti <strong>del</strong> sistema mercificante <strong>del</strong>l’arte diventerà una cond<strong>it</strong>io<br />
sine qua non dettata dal tipo di tecnologia impiegata. Lo scambio e l’interazione<br />
con <strong>il</strong> pubblico e con l’altro diventeranno una necess<strong>it</strong>à, una condizione<br />
ineliminab<strong>il</strong>e affinché l’esperimento telecomunicativo possa avere<br />
luogo. Come scriverà nel 1986 Derrick De Kerchove:<br />
Se non arriviamo sub<strong>it</strong>o a cogliere <strong>il</strong> punto nodale <strong>del</strong>l’estetica <strong>del</strong>la comunicazione<br />
è per una ragione molto semplice: è perché essa non funziona<br />
più a partire dalla rappresentazione, come tutti i media tipografici e i derivati<br />
<strong>del</strong> <strong>libro</strong>. Finché cerchiamo <strong>del</strong>le rappresentazioni, finché cerchiamo<br />
di rappresentarci un certo circu<strong>it</strong>o, una certa esperienza, come una funzione-specchio<br />
– <strong>il</strong> mo<strong>del</strong>lo <strong>del</strong> <strong>libro</strong> – compiamo lo stesso semplicistico errore<br />
<strong>del</strong> fru<strong>it</strong>ore medio che davanti a un quadro astratto si chiede “che cosa<br />
significa?”. Non vuol dire proprio niente, vuol fare qualcosa.<br />
E ancora:<br />
L’estetica <strong>del</strong>la comunicazione non è una teoria – benché qualcuno potrebbe<br />
essere tentato di ridurla a questo – ma una pratica. Non produce oggetti<br />
ma allaccia relazioni [...]. Quello che è rivelatore è <strong>il</strong> fatto che la maggior<br />
parte degli artisti <strong>del</strong>la comunicazione non ha spesso, in realtà, assolutamente<br />
nulla da comunicare. È per loro sufficiente costruire dei circu<strong>it</strong>i e <strong>del</strong>le interazioni<br />
diverse in modo tale da fare <strong>del</strong>lo stesso fru<strong>it</strong>ore <strong>il</strong> contenuto. 18<br />
Le prime performance telecomunicazionali di artisti come Fred Forest,<br />
David Rokeby, Norman Wh<strong>it</strong>e, M<strong>it</strong> M<strong>it</strong>ropoulos, K<strong>it</strong> Galloway e Sherrie<br />
Rabinow<strong>it</strong>z consistevano nell’integrazione di diverse modal<strong>it</strong>à tecno-sociali<br />
di comunicazione. Il tentativo era spesso quello di impiegare in modo<br />
non convenzionale sistemi concep<strong>it</strong>i originalmente per scopi esclusivamente<br />
commerciali o m<strong>il</strong><strong>it</strong>ari.<br />
I precursori<br />
Nel novembre <strong>del</strong> 1980 K<strong>it</strong> Galloway e Sherrie Rabinow<strong>it</strong>z realizzarono<br />
Hole in Space (Buco nello spazio) un’installazione ad accesso pubblico,<br />
“sospesa” tra <strong>il</strong> Broadway Store di Los Angeles e <strong>il</strong> Lincoln Center di<br />
New York. Per tre sere consecutive, due schermi s<strong>it</strong>uati nei due centri<br />
furono collegati via satell<strong>it</strong>e, riproducendo in tempo reale le immagini<br />
provenienti dall’altra costa. I passanti potevano così ascoltare e vedere,<br />
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