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Derrida e McLuhan: i messaggi creati con un determinato codice o linguaggio,<br />
lungi dall’essere universali, veicolano una precisa visione <strong>del</strong><br />
mondo. 8 In campo informatico, la tesi <strong>del</strong>la “non trasparenza <strong>del</strong> codice”<br />
trova un immediato riscontro nell’impossib<strong>il</strong><strong>it</strong>à di aprire un f<strong>il</strong>e senza un<br />
software atto a decr<strong>it</strong>tarlo. Il discorso è tuttavia più complesso. Gli artisti<br />
<strong>del</strong> software non si sono infatti lim<strong>it</strong>ati alla cr<strong>it</strong>ica <strong>del</strong>l’ideologia, ma hanno<br />
creato essi stessi programmi che pongono domande precise sugli effetti<br />
socio-culturali di certi strumenti.<br />
Software art<br />
Per quel che riguarda <strong>il</strong> primo atteggiamento, un esempio classico viene<br />
da Auto-Photoshop e Auto-Illustrator, 9 due software realizzati dal programmatore<br />
inglese Adrian Ward. Vinc<strong>it</strong>ore ex-aequo <strong>del</strong> premio per <strong>il</strong><br />
software artistico <strong>del</strong>la Transmediale di Berlino nel 2001, Auto-Illustrator<br />
si presenta con la stessa interfaccia <strong>del</strong> noto<br />
programma <strong>del</strong>la Adobe. Tuttavia, basta cliccare su una <strong>del</strong>le icone allineate<br />
nella barra degli strumenti per osservare fenomeni diffic<strong>il</strong>mente riconducib<strong>il</strong>i<br />
al software <strong>del</strong>la casa madre. Ogni strumento genera infatti<br />
linee vettoriali, che generano a loro volta forme antropizzate: <strong>il</strong> cerchio si<br />
trasforma nel volto sorridente di un bambino; <strong>il</strong> rettangolo diventa una<br />
casa; le forbici tagliano in modo <strong>del</strong> tutto arb<strong>it</strong>rario; <strong>il</strong> testo è una specie<br />
di macchina dadaista che sputa parole immaginarie. Questi risultati imprevisti<br />
mettono in crisi l’ab<strong>it</strong>uale rapporto di fiducia che abbiamo con<br />
l’interfaccia.<br />
In effetti non c’è nulla che ci garantisca che <strong>il</strong> cerchio, la mat<strong>it</strong>a o le<br />
forbici eseguano effettivamente un certo tipo di operazione. L’interfaccia<br />
grafica, come dicevamo, è opaca: la scelta di associare un’icona o un<br />
menù a una certa funzione è unicamente di chi l’ha progettata, non di chi<br />
la ut<strong>il</strong>izza.<br />
Con Auto-Illustrator pennelli, gomme, mat<strong>it</strong>e, spray – e tutto <strong>il</strong> campionario<br />
di metafore mutuate dal disegno – sembrano dotati di desideri<br />
propri. L’introduzione di elementi casuali e caotici parodizza così l’approccio<br />
mimetico <strong>del</strong> design standardizzato, liberando l’interfaccia da<br />
una funzione puramente strumentale. Tuttavia, questa “autonomia” <strong>del</strong>la<br />
macchina non va interpretata come una rinuncia alla soggettiv<strong>it</strong>à <strong>del</strong>l’artista.<br />
Se per l’Oulipo di Queneau poteva avere un senso immaginare una<br />
poesia al computer destinata ai computer stessi – si vedano anche gli<br />
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