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Le Giornate del Cinema Muto 2005 Sommario / Contents

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Quando la Garbo ricevette il copione de La carne e il diavolo, andò a<br />

parlare con Mayer:“Signor Mayer, sono stanca morta, non sto bene,<br />

non posso fare un altro film così a precipizio, inoltre di questo qui<br />

non sono soddisfatta”. Disse che non capiva il senso di mettersi in<br />

costume e continuamente sedurre uomini, pellicola dopo pellicola.<br />

<strong>Le</strong> fu risposto: “Oh, proprio un peccato! Però continua a provare i<br />

costumi e va’ avanti a prepararti”. E quando tentò, pressata da Stiller,<br />

di scegliersi costumi meno da vamp, Mayer fu pronto nel<br />

disapprovare, e minacciò sospensioni <strong>del</strong> contratto. La Garbo ubbidì<br />

alle istruzioni, e fu così che incontrò John Gilbert.<br />

Allora John Gilbert era l’idolo più sentimentale di Hollywood e, con<br />

tutta probabilità, anche il divo più pagato. La patente di Grande<br />

Amatore detenuta da Rodolfo Valentino – che doveva morire due<br />

settimane dopo l’inizio <strong>del</strong>le riprese de La carne e il diavolo, il 9<br />

agosto 1926 – venne degnamente ereditata da John Gilbert. A<br />

quell’epoca, egli aveva ventinove anni – otto, cioè, più <strong>del</strong>la Garbo –<br />

e due matrimoni alle spalle. Era inoltre un inguaribile romantico,<br />

nella vita come nell’arte.“Qualsiasi ruolo recitasse,” disse di lui King<br />

Vidor che lo aveva diretto nella parte di galante fantaccino nel suo<br />

più grande successo, La grande parata (The Big Parade, 1925),“trovava<br />

il modo di riviverlo fuori <strong>del</strong>lo schermo”. Per Gilbert l’atmosfera<br />

romantica era come l’alcool: gli dava uno stato d’ebbrezza continuo<br />

e stimolante. Nella gente “comune” un simile tratto verrebbe<br />

giudicato di instabilità, nel caso di un divo cinematografico, era un<br />

mezzo di proiezione e di protezione.<br />

Per la Garbo, quest’incontro con un riconosciuto e affermato Grande<br />

Amatore non avrebbe potuto essere più provvidenziale o più<br />

determinante. La sua sicurezza nel sapere chi fosse e il suo impegno<br />

nel non venir mai meno a ciò che rappresentava ebbero un effetto<br />

stabilizzante sulla Garbo, in un momento altrimenti solitario <strong>del</strong>la sua<br />

carriera: il mentore [Mauritz Stiller] era stato costretto a cercarsi<br />

lavoro lontano da lei, inoltre, il salario che le pagavano o i ruoli che le<br />

offrivano non potevano esser per lei fonte di soddisfazione. Per di più<br />

Gilbert era, in effetti, il primo vero americano che la Garbo<br />

incontrasse. Gli americani che aveva avuto modo di vedere a New<br />

York, durante quelle deprimenti ansiose settimane, mentre con Stiller<br />

attendeva d’essere chiamata sulla Costa, erano stati uno dei pochi<br />

elementi consolanti: seppur da una certa distanza, quella razza<br />

sconosciuta li aveva affascinati entrambi. Ora, per la prima volta, la<br />

Garbo si trovava a lavorare a distanza ravvicinata con un esemplare di<br />

quella razza. Fino ad allora, tutti gli altri suoi partner erano stati<br />

svedesi, oppure americani al modo di Moreno o di Cortez che si<br />

proponevano come ardenti latini. Gilbert aveva la foga e il brio <strong>del</strong><br />

prodotto genuino; la sua energia che pareva ricaricarsi da sola ebbe<br />

una potente influenza su una donna le cui batterie, invece, si<br />

scaricavano in fretta. Prima che il regista Clarence Brown li<br />

presentasse, sul set de La carne e il diavolo, Gilbert e la Garbo si<br />

conoscevano solo di vista, ma ella seppe, con una frase estemporanea,<br />

cogliere tutte le qualità che Gilbert aveva e che a lei mancavano: “È<br />

così vitale, così vivace, così acceso! Tutte le mattine, alle nove in punto,<br />

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si cominciava a lavorare insieme, ed era così cortese che mi sentivo<br />

meglio, sentivo un po’ più amica quella terra straniera”.<br />

Nel film le scene d’amore recitate dalla Garbo e da Gilbert erano<br />

il genere di cose per cui gli agenti pubblicitari andavano matti; ma<br />

sarebbe sbagliato ridurle solo a questo. È facile comprendere come<br />

quell’inguaribile romantico e quella intuitiva pasionaria si<br />

stimolassero a vicenda fino a raggiungere il massimo. “È un attore<br />

così squisito,” diceva la Garbo, “mi solleva e mi porta via con sé.<br />

Non sto più semplicemente recitando una scena, la sto vivendo”. E<br />

viveva in un mondo così romantico che la mezza età di Mauritz<br />

Stiller non avrebbe consentito d’eguagliare. Nelle scene d’amore, la<br />

Garbo ha ciò che sarebbe poi divenuto suo di diritto: la posizione<br />

dominante; la testa di Gilbert è appoggiata sul suo grembo, ed ella<br />

con le braccia la cinge, un’attitudine <strong>del</strong> corpo che lascia intuire<br />

come l’uomo sia schiavizzato dalla propria passione. La passionalità<br />

<strong>del</strong>la Garbo possiede una forza d’urto fisica cui il suo aspetto<br />

femminile non ci aveva preparati: strofina la sua guancia contro<br />

quella di Gilbert, come creando fra loro un flusso d’energia statica.<br />

Poche sono le scene di film americani, muti o parlati, in cui due<br />

persone vestite da capo a piedi arrivano a generare un così grande<br />

desiderio sessuale attraverso la semplice contiguità fisica. Quei due<br />

liberavano una tale carica carnale che la MGM dovette escogitare<br />

un lieto fine – “morale” – per il film. Clarence Brown intendeva<br />

terminare con le inquadrature <strong>del</strong>la Garbo che muore fra i ghiacci,<br />

lasciando liberi Gilbert e Hanson di riprendere l’amicizia platonica<br />

che il distruttivo amore di lei aveva interrotto; la MGM vi appiccicò<br />

invece un finale più felice che giustificato, mostrando un allegro<br />

Gilbert che corteggia una nuova ragazza.<br />

Ma l’intero studio fu sbalordito e <strong>del</strong>iziato dalla dimostrazione di<br />

straordinaria recitazione fornita dalla Garbo. Nella scena in cui ella<br />

rigira il calice <strong>del</strong>la comunione – e lo tiene in mano come Salomè la<br />

testa di Giovanni Battista – per poggiare le labbra sullo stesso punto<br />

appena toccato dal suo amante, la Garbo fu magicamente capace di<br />

trasformare il rito sacro in un atto sessuale e, al tempo stesso, di<br />

allontanare ogni possibile obiezione <strong>del</strong>la censura rendendo quel<br />

peccato pressoché impalpabile. Una donna capace di peccare e<br />

contemporaneamente di soffrire era una vera fortuna in un mondo<br />

in cui la censura prevedeva che i misfatti morali venissero bilanciati<br />

da resipiscenza o da inevitabile distruzione.<br />

William Daniels, il direttore <strong>del</strong>la fotografia, giocò la sua parte<br />

nell’illusione magica creata da Gilbert e dalla Garbo: aveva illuminato<br />

il giardino che costituiva lo scenario <strong>del</strong> loro primo incontro in<br />

modo che ogni foglia emanasse un diffuso tremito di simpatia.<br />

Appena Gilbert strofina un fiammifero per accendere la sigaretta che<br />

ha spostato dalle sue labbra secche (e si sente la tensione che gli<br />

serra la gola) a quelle bramose di lei, l’estremità incandescente <strong>del</strong>la<br />

sigaretta vibra come fosse un indice <strong>del</strong>le loro emozioni: Daniels, in<br />

effetti, aveva nascosto una minuscola lampadina elettrica nella mano<br />

di Gilbert. E, considerando il modo in cui molti scrittori parlano<br />

<strong>del</strong>la “divinità” <strong>del</strong>la Garbo, è utile rammentarsi quanto spesso, nei

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