Tiere furlane 3 - Regione Autonoma Friuli Venezia Giulia
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Il tragitto, ovviamente a piedi,<br />
durava circa un giorno e mezzo;<br />
si partiva alle due del mattino<br />
prendendo la strada del Lago di<br />
Cavazzo e la prima sosta (prima<br />
pôssa) si faceva a Tolmezzo.<br />
La notte si trascorreva in qualche<br />
paese, ad es. Paluzza, sulla<br />
piazza.<br />
I proprietari non tornavano alla<br />
malga durante l’estate, a meno<br />
che non succedesse alc di brut,<br />
ad esempio se una vacca a colava<br />
e si rompeva una gjamba.<br />
La latteria del paese, ovviamente,<br />
in questo periodo chiudeva i battenti.<br />
Il latte per chi aveva fruts<br />
era assicurato da una o poche<br />
famiglie che tenevano una vacca<br />
anche durante l’estate; questo<br />
latte non era pagato, ma veniva<br />
poi restituito in latteria, quando<br />
questa avrebbe riaperto (i davin<br />
dentri il lat ta lataria).<br />
La monticazione in Carnia non<br />
dava vantaggi pecuniari, tutt’al<br />
più se le vacche a molzevin<br />
‘avevano latte’ si riceveva un<br />
formadi. Era però una necessità,<br />
scuignivin mandâlis, per un<br />
motivo ovvio: no vevin fen!, cioè<br />
le scorte di fieno erano terminate.<br />
L’assenza del bestiame dal paese<br />
era, inoltre, considerata un grande<br />
vantaggio (bedalora che...),<br />
sottolineato dalle informatrici: al<br />
era un benefici mandâlis!<br />
In effetti ciò consentiva alle<br />
donne una maggior libertà per...<br />
lavorare di più: l’estate era il<br />
periodo in cui si dovevano ricostituire<br />
le scorte di fieno (preparavin<br />
il fen pal unvier) con un<br />
diuturno impegno particolarmente<br />
pesante e gravoso.<br />
Noi, qui, aggiungeremmo almeno<br />
un paio di altri vantaggi della<br />
monticazione:<br />
- la ginnastica funzionale, cioè<br />
il benefico movimento al quale<br />
erano obbligate bovine che passavano<br />
il resto dell’anno legate<br />
alla catena;<br />
- l’apporto di erba, con tutti i<br />
suoi essenziali principii nutritivi<br />
(ad es. caroteni), a bestie che<br />
per il resto dell’anno avevano a<br />
disposizione solo foraggio secco.<br />
La fienagione: falce e<br />
rastrello<br />
La prima settimana di maggio<br />
cominciava la fienagione attorno<br />
al paese, cioè, come si dice qui a<br />
cjasa, o abàs. Poi, finît a cjasa,<br />
lavin sù ducj i roncs, sù pai<br />
roncs sora il paîs; dove ora è<br />
bosco erano ducj prâts. Questo<br />
primo sfalcio era detto cultura.<br />
Con l’arrivo di giugno si sfalciava<br />
in montagna: di ugn ducj sù tas<br />
monts. Verso la fine di giugno,<br />
San Pieri, finît in mont, si faceva<br />
il secondo sfalcio (altivûl)<br />
a cjasa. Poi di nuovo in mont.<br />
Attorno al paese si riusciva a<br />
praticare tre sfalci, l’ultimo era<br />
detto muiàrt, mentre in mont<br />
non si riusciva mai a farne più di<br />
due.<br />
Si falciava un po’ dappertutto,<br />
anche dove con gli occhi di un<br />
moderno si vedono solo pendii<br />
impraticabili, così in Covria dove<br />
alcune famigle avevano bielis<br />
palotis.<br />
L’attrezzatura per la fienagione<br />
era quella solita, sostanzialmente<br />
falce e rastrello. La falce fienaia,<br />
falcet, era dotata di un manico,<br />
falcjâr, che era fabbricato da<br />
falegnami del paese con legno di<br />
tei ‘tiglio’, ma questo al durava<br />
pôc, oppure di cocolâr ‘noce’<br />
che però era più pesante. Le due<br />
impugnature del falcjâr porta-<br />
• 55<br />
no il curioso nome di cûghiis.<br />
Accessorio indispensabile era<br />
la côt ‘cote’, per affilare la lama<br />
della falce, infilata nell’apposito<br />
astuccio detto codâr che era di<br />
legno, o ricavato da un corno di<br />
vacca o, ultimamente, di lamiera.<br />
L’uso della falce doveva essere<br />
molto intenso se, come sottolinea<br />
un'informatrice, se ne consumava<br />
una all'anno: i limavin un falcet<br />
ad an.<br />
Il rastrello, riscjèla, era di cocolâr<br />
‘noce’ ed acquistato nella vicina<br />
Cornino dove, come è noto,<br />
si trovava la fabrica dai riscjei<br />
la cui memoria è ora perpetuata<br />
da un piccolo museo.<br />
Il fieno prodotto in mont poteva<br />
essere trasportato in paese,<br />
oppure ricoverato nello stali che<br />
ogni famiglia possedeva; raramente<br />
era raccolto in meda e<br />
ciò avveniva quasi soltanto nella<br />
zona di Cjanêt. Solo in tempi<br />
recenti, grazie a cuardis ‘fili a<br />
sbalzo’ appositamente approntate,<br />
i macs potevano scendere<br />
celermente in paese.<br />
Per il trasporto non ci si poteva<br />
avvalere, a causa della orografia<br />
tormentata e della viabilità inadatta,<br />
della slitta in uso in Carnia<br />
e anche in qualche paese vicino.<br />
Era d’obbligo, quindi, portarlo a<br />
spalla e all’uopo preparare il mac<br />
‘fascio’, operazione che presupponeva<br />
esperienza ed una certa<br />
maestria. Il mac doveva essere<br />
ben stretto (si strenç) con le<br />
corde, e per fare ciò ci si giovava<br />
del tendicorda di legno detto il<br />
clât. Importante era lasciare la<br />
cova, un’incavatura per alloggiare<br />
il capo, e fondamentale era<br />
la formazione di cuscinetti di<br />
fieno che fungevano da punto di<br />
appoggio del carico sulle spalle: ☛