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Tiere furlane 3 - Regione Autonoma Friuli Venezia Giulia

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62 •<br />

Casera su un solo piano nota come caserùta di Jacum di Menés situata in<br />

Mont di Sora (giugno 2009).<br />

cjaça forada e la si metteva in<br />

sacchetti di tela a sgocciolare;<br />

poi si pressava leggermente con<br />

un peso. Poteva essere consumata<br />

fresca, scota, o affumicata,<br />

scotìn. Per affumicarla si poneva<br />

su una griglia di legno (gridèla)<br />

sopra il fogolâr dove soggiornava<br />

per circa un mese e si impregnava,<br />

così, del fumo prodotto<br />

mentre si cucinava.<br />

La forma era ovoidale o rotonda,<br />

con diametro di circa 10 cm e<br />

altezza di 7 cm; raggiungeva al<br />

massimo il peso di un 1 Kg.<br />

Quanto al siç viene ricordato<br />

perchè poteva egregiamente<br />

sostituire l’aceto par cuinçâ il<br />

radìc ‘condire il radicchio’.<br />

Spongja<br />

La bruma, cioè la panna del<br />

latte che durante la notte affi orava<br />

nel pacét, era raccolta con<br />

una cjaça forada e posta nella<br />

zangola (pigna), un recipiente<br />

trococonico formato da doghe di<br />

legno e chiuso da un coperchio,<br />

sempre di legno, attraversato da<br />

un bastone dotato alla estremità<br />

inferiore di un disco orizzontale<br />

forato (rueda cu lis busis).<br />

La pigna era riempita per i due<br />

terzi, quindi la panna era sbattuta<br />

e agitata col bastone per una<br />

quarantina di minuti, fi nchè si<br />

addensava, si sglonfava; bisognava<br />

impedire che la crema<br />

“impazzisse” formando grumi,<br />

inconveniente cui si ovviava<br />

alternando movimenti veloci con<br />

movimenti lenti.<br />

Una volta formato il burro<br />

(spongja) si apriva il coperchio,<br />

si scolava il latticello e si<br />

aggiungeva acqua fredda per<br />

migliorare l’amalgama e favorirne<br />

la solidifi cazione. Il burro veniva<br />

poi lavorato con le mani, impastato<br />

coma par fâ il pan e, con<br />

l’aiuto di una spatola di legno, si<br />

ottenevano dei pani a forma di<br />

parallelepipedo del peso di circa<br />

1 kg.<br />

Il latticello (lat di pigna), malgrado<br />

le scarse qualità organolettiche,<br />

poteva essere bevuto e<br />

vengono ricordate le sue proprietà<br />

rinfrescanti, ma c’è chi<br />

aggiunge pa sêt e... pa purga!<br />

In assenza di frigoriferi il burro<br />

poteva avere solo vita effi mera<br />

e, per la sua conservazione, si<br />

ricorreva alla cottura ottenendo<br />

il coddetto ont. Le donne lo<br />

cuocevano in una pentola e, a<br />

metà cottura vi univano fette di<br />

polenta che avevano lo scopo<br />

di impregnarsi con la morcja<br />

‘morchia’, ossia le effl orescenze<br />

del burro cotto. Quando il<br />

burro diventava color oro veniva<br />

deposto nella piera dal ont, un<br />

recipiente di pietra, dove poteva<br />

durare per un anno. L’ont era<br />

uno dei condimenti più diffusi.<br />

Le fette di polenta venivano date<br />

da mangiare ai bambini.<br />

Par concludi, sperìn...<br />

La fi liera che andava dall’erba al<br />

çuç, alla scota, all’ont, passando<br />

per le malghe di Carnia, era<br />

tutta nelle mani e sulle spalle<br />

delle donne, vere protagoniste di<br />

un’epopea di fatiche durata secoli.<br />

Le ultime testimoni di questo<br />

mondo scomparso non hanno potuto<br />

tramandare il loro sapere a<br />

fi glie e nipoti in una società che<br />

ha subito sconvolgimenti epocali<br />

nel giro di una generazione.<br />

Non abbiamo nostalgie per un<br />

mondo che non potrà più riproporsi,<br />

solo la speranza che i sapori<br />

forti di quei prodotti, ormai<br />

arcaici anche nel nome, possano<br />

un giorno, seppur con un’altra<br />

organizzazione sociale e del territorio,<br />

risorgere per il piacere,<br />

mai dimenticato, dei nostri palati.<br />

Si ringraziano le informatrici: Maria<br />

Cucchiaro, Amelia Di Santolo;<br />

Lina Mamolo.<br />

L

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