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Tiere furlane 3 - Regione Autonoma Friuli Venezia Giulia

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☞<br />

“Le varietà coltivate sono piuttosto<br />

difficili da distinguere,<br />

in quanto decenni di semina<br />

promiscua hanno determinato<br />

la comparsa di molti ibridi non<br />

sempre agevolmente classificabili.<br />

Gli informatori si sono prodigati<br />

in un lungo elenco di varietà,<br />

in cui la differenza di denominazione<br />

(noms spavenzeâz)<br />

non sempre corrisponde ad una<br />

differenza reale: burlóz (borlotti),<br />

fagioli più diffusi ed usati,<br />

burlotìns o burlotùz (descritti<br />

come più piccoli e tondeggianti<br />

dei primi), tómbai e lauróns<br />

(probabilmente un incrocio tra i<br />

borlotti ed i pavoni), fasôis dal<br />

vôli o dal voglùt (che traggono<br />

il nome dalla piccola chiazza<br />

scura che campeggia sul fondo<br />

chiaro), vergolâz, fùmui, fasôis<br />

da cinîsa, fasôis da musùta<br />

(anche questi di colore chiaro,<br />

grigiastro con una macchiolina<br />

rossastra), las bôlgias (forse i<br />

fagioli di Spagna, sono descritti<br />

come di colore chiaro o bianco,<br />

grossi ma scarsamente saporiti),<br />

ed ancora i ribidìns (dal baccello<br />

screziato), i plombìns (forse i<br />

cannellini, di piccole dimensioni,<br />

allungati e cenerùz di colôr).<br />

Di buona qualità anche i fagiolini<br />

che in vallata conoscono il<br />

momento di massima produzione<br />

in agosto. Anche in questo<br />

caso i termini che identificano le<br />

varietà sono in generale frutto<br />

di fantasia: tra i tipi più pregiati<br />

di côsui / cùasai sono menzionate<br />

las voìnas dal Papa, dal<br />

baccello bianco largo e carnoso.<br />

Sempre tra las voìnas di côsul<br />

piacciono assai i roncjìns (i<br />

“cornetti”, dal baccello corto e<br />

croccante), las voìnas lauras o<br />

riàdas (i baccelli di colore scre-<br />

ziato e privo di filamenti)”.<br />

Quasi un ventennio più tardi<br />

troviamo alcune di queste varietà,<br />

ed altre ancora, a Pradumbli<br />

(Spizzo 2009, 143-44), che si<br />

trova sempre nel Canal Pedarzo,<br />

ormai ai più noto come Val<br />

Pesarina. Accanto a Borlots e<br />

Borlotìns troviamo: Militóns,<br />

Lauróns, Cesarìns, Setembrìns,<br />

Fasàns, dal Ont, da Cinîse,<br />

dal Voglùt, Asìns, da Lissìve,<br />

la Fasòla; e per las voìnas ci<br />

sono Chês dal Papa, le Cento<br />

per uno dal curioso appellativo<br />

e, infine, l’Asìn che è a duplice<br />

attitudine. Per sfatare ancora<br />

una volta il mito dell’autoctono<br />

si fa notare come in Carnia, che<br />

fu terra d’elezione per i fagioli<br />

“nostrani”, si usi comunemente<br />

la denominazione “borlotto” che<br />

è voce tipicamente lombarda (in<br />

milanese significa ‘tracagnotto’).<br />

Anche a Peonis (com. di Trasaghis)<br />

i Borlots erano molto<br />

diffusi, forse i più diffusi, seguiti<br />

da chei di cuaranta dîs detti<br />

Fasui cividins<br />

Cesarìns perchè erano picinins<br />

e zaluts como la cesara, cioè<br />

come i piselli (Lina Mamolo, inf.<br />

pers.).<br />

Per Moggio Frau segnala Fasûi<br />

dal pape ‘fagioli bianchi e grossi’<br />

e Fasûi gjatuts ‘fagioli bianchi<br />

venati di marron scuro’.<br />

A questa ricchezza lessicale<br />

o, meglio, “faseolonomastica”<br />

(speriamo che questo neologismo<br />

muoia qui) non poteva che far<br />

riscontro una grande creatività<br />

frutto di una vivacità culturale<br />

che ora si è affievolita.<br />

Il confronto col numero di varietà<br />

(inteso come varietà anche solo<br />

linguistica) che abbiamo rilevato<br />

a Lamon (BL), capitale faseolicola<br />

del Nord Est è impietoso:<br />

nel glossario del dialetto locale<br />

(Corrà 2001, 361) alla voce Fasòl<br />

vengono elencate solo quattro<br />

“qualità”: spagnöi, spagnolit,<br />

calòneghe e furianóe. In un<br />

pieghevole del Consorzio per la<br />

Tutela del Fagiolo di Lamon I.G.P.<br />

troviamo i medesimi nomi, con<br />

La fama dei fagioli carnici, e della montagna in generale, non deve farci<br />

dimenticare come questa leguminosa fosse diffusamente coltivata in tutta la<br />

regione. Cento anni fa così si scriveva per il Comune di Cividale (Rubini 1909,<br />

491):<br />

“[Il fagiolo] è, tra le leguminose da seme, il più coltivato. Riesce bene<br />

ovunque, ma specialmente nella zona prevalentemente collinare ed in quella<br />

pedecollinare. Le varietà coltivate sono due: le rampicanti e le nane; le prime<br />

specialmente consociate al granoturco, le seconde per lo più da sole tra i<br />

filari delle viti.<br />

Il terreno, dove la pianta si coltiva da sola, viene convenientemente preparato<br />

con una buona aratura fatta precedere da abbondante concimazione con stallatico;<br />

la semina si fa in primavera a righe con terreno disposto a colmiere.<br />

Nel 1908 la superficie coltivata a fagioli era di ha 10.86”.<br />

Per il solo comune di Cividale una decina di ettari a fagiolo non era poco. Il<br />

medesimo autore ricorda che nella zona collinare di quel comune, in località<br />

ben riparate, vi era una limitata coltivazione di cece.

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