Tiere furlane 3 - Regione Autonoma Friuli Venezia Giulia
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La strada di Mont (attuale).<br />
don o cul pols, così da capire il<br />
momento adatto per aggiungere<br />
il caglio e dare il via alla coagulazione.<br />
Il caglio era prodotto “in proprio”<br />
con lo stomaco (çàcula)<br />
di un capretto o di un vitello da<br />
latte: lo stomaco era messo ad<br />
essiccare sul camino (napa), poi<br />
pestato finemente ed addizionato<br />
di sale, fino a raggiungere la consistenza<br />
di una pasta cremosa.<br />
Scostata la cjalderia dal fuoco si<br />
aggiungeva il caglio e, nel giro di<br />
circa 40 minuti il latte coagulava<br />
(al piâva) formando la cagliata.<br />
La donna/casaro procedeva<br />
allora a tagliarla, dapprima con la<br />
lira, attrezzo formato da alcuni<br />
fili metallici tesi, poi continuava<br />
con il tarùç, un bastone di legno<br />
che aveva dei fili metallici alle<br />
estremità.<br />
Ridotta la cagliata in grani delle<br />
dimensioni di un chicco di riso si<br />
ricollocava la cjalderia sul fuoco<br />
e la massa si riscaldava fino a 45<br />
gradi tenendola costantemente<br />
mescolata.<br />
Per ottenere un formaggio<br />
“dolce” la cagliata era lasciata<br />
in frammenti piuttosto grossi<br />
e si procedeva ad un tempo di<br />
cottura più breve: in tal caso il<br />
formaggio poteva essere consumato<br />
dopo un mese e mezzo.<br />
Per il formaggio da stagionare<br />
la cagliata era cotta più a lungo<br />
e ridotta in grani di dimensioni<br />
minori.<br />
L’operazione successiva consisteva<br />
nel raccogliere la cagliata<br />
in apposite pezze (piécis) e<br />
strizzarla onde far uscire il siero<br />
(il contenuto di ogni pezza corrispondeva<br />
ad una formaggella) ed<br />
in seguito era posta su un asse<br />
(brea) inclinato per favorire un<br />
ulteriore spurgo. La formaggella<br />
era quindi sistemata nel talç<br />
‘fascera di legno’ dove prendeva<br />
la forma definitiva e si concludeva<br />
lo spurgo. Per fare ciò un<br />
claut ‘chiodo’ veniva infilato<br />
negli appositi fori del talç onde<br />
stringere od allargare la forma,<br />
e sopra di esso si ponevano dei<br />
pesi, ad es. sassi. Qui si lasciava<br />
per un giorno rigirando una volta<br />
la forma.<br />
I ritagli di formaggio ottenuti dalla<br />
rifilatura della forma nel talç<br />
erano detti sprés e si utilizzavano<br />
per fare il frico.<br />
Il giorno dopo cominciava la<br />
salatura: per una durata di dieci<br />
giorni la formaggella veniva salata<br />
tre volte al giorno da entrambi<br />
i lati. Il sale doveva penetrare<br />
poco per volta altrimenti la<br />
crosta (crodia) si induriva e<br />
non permetteva al sale stesso di<br />
penetrare.<br />
Il çuç così ottenuto poteva<br />
essere consumato fresco, oppure<br />
stagionato e portato in paese.<br />
Date le piccole quantità prodotte<br />
non aveva un mercato e rientrava<br />
nell’autoconsumo. Qualcuno<br />
• 61<br />
ricorda che i çuçuts a si regalavin.<br />
Le tecniche casearie utilizzate<br />
in Mont veniva applicate dalle<br />
donne anche in paese, spesso<br />
nel mese di dicembre, quando<br />
il latte prodotto non era ancora<br />
sufficiente per far funzionare la<br />
latteria in modo economico.<br />
Non si può affermare che il<br />
formaggio riuscisse sempre<br />
perfettamente, ma raramente si<br />
alterava in modo grave (al lava<br />
frait). Poteva talora assumere un<br />
sapore amarognolo o acido e ciò<br />
era dovuto al decorrere troppo<br />
caldo della stagione o ad un’igiene<br />
imperfetta. Tali difetti non<br />
erano tuttavia mai tali da impedirne<br />
il consumo.<br />
Scota e scotìn<br />
La ricotta, o scóta (da pronunciarsi<br />
con la -ó- molto chiusa),<br />
si faceva col siero (sîr) che<br />
residuava nella cjalderia dopo<br />
che era stata estratta la cagliata.<br />
Questo, prima di essere portato<br />
ad ebollizione, circa 90 gradi,<br />
riceveva il siç, nome con cui si<br />
indicava il siero inacidito (laît).<br />
Il siç si otteneva lasciando una<br />
certa quantità di siero per circa<br />
un mese in un contenitore di<br />
legno, chiamato mastèl, molto<br />
simile alla pigna con la quale si<br />
faceva il burro, coperto e lasciato<br />
accanto al fuoco perchè doveva<br />
restare in un ambiente caldo. A<br />
volte si aggiungeva nel contenitore<br />
l’erba detta pan e vin.<br />
Grazie all’azione congiunta del<br />
calore e del siç (ma si poteva<br />
usare anche il sâl di canâl ‘sale<br />
inglese’) la massa ad un certo<br />
punto coagulava e la ricotta<br />
affiorava in superficie. La si<br />
toglieva dalla cjalderia con una ☛