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mare monstrum 2002 - Legambiente

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<strong>Legambiente</strong> - Mare <strong>monstrum</strong> <strong>2002</strong><br />

12. 20.000 bombe in fondo al mar<br />

Bombe a grappolo, bombe a mano, da aereo, da mortaio, mine, un<br />

arsenale quasi interamente caricato con agenti chimici altamente tossici,<br />

proiettili all’uranio impoverito: la guerra continua in fondo al <strong>mare</strong>.<br />

Tutto è cominciato durante la prima guerra mondiale quando alcuni<br />

paesi belligeranti iniziarono una grande produzione di armi chimiche.<br />

Nonostante il trattato di Versailles del 1922 e la convenzione di Ginevra del<br />

’25 misero al bando il loro uso, molte nazioni, tra cui l’Italia, continuarono a<br />

produrne. I centri di stoccaggio e costruzione degli armamenti furono allestiti<br />

tra Bari e Lecce. Dopo la guerra tutto il materiale bellico inutilizzato finì<br />

nell’Adriatico. Molti residuati del secondo conflitto mondiale seguirono la<br />

stessa sorte e comunque fino a una trentina di anni fa, come riferisce l’Istituto<br />

per la ricerca scientifica e tecnologia applicata al <strong>mare</strong> (ICRAM), la pratica<br />

corrente di smaltimento per il munizionamento militare obsoleto era<br />

l’affondamento in <strong>mare</strong>. Nel 1999 sono arrivate le famigerate “bombe a<br />

grappolo” sganciate in Adriatico dalla NATO dopo la guerra in Kossovo e<br />

l’urgenza di bonificare le zone interessate a fatto riemergere un arsenale<br />

sommerso: l’Icram ha individuato per il momento, in quattro aree al largo<br />

delle coste di Molfetta, 20 mila ordigni a “caricamento speciale”. Un’enorme<br />

discarica sommersa che rilascia sostanze letali come l’iprite e composti di<br />

arsenico. Quante altre ce ne sono nel resto dell’Adriatico? Impossibile saperlo:<br />

le autorità militari non forniscono informazioni che sono “riservate”. Si<br />

sospetta inoltre la presenza di proiettili all’uranio impoverito utilizzati sempre<br />

dalle forze NATO. “Non sono pericolosi” avevano assicurato i militari, ma un<br />

manuale Nato dice l’esatto contrario. Il dato certo è che il caricamento dei<br />

20.000 ordigni stimati dall’Icram è composto da 24 diverse sostanze, 18 di<br />

queste sono persistenti e in grado di esercitare effetti nocivi sull’ambiente e<br />

sull’uomo. Costituiscono un pericolo per i pescatori e per tutti coloro che a<br />

vario titolo esercitano le loro attività in <strong>mare</strong>. Solo nel basso Adriatico sono più<br />

di 200 i casi documentati di pescatori intossicati e ustionati dalle esalazioni<br />

sprigionatesi da ordigni a carica chimica salpati con le reti. Le sostanze<br />

rilasciate provocano la distruzione delle cellule umane, attaccano gli occhi,<br />

pelle e apparato respiratorio, alterano la trasmissione degli stimoli nervosi. Ne<br />

conseguono congiuntiviti, bruciori, edemi, danni polmonari cronici e asfissia.<br />

“Esposizioni gravi producono la morte per insufficienza respiratoria e<br />

polmonite. E soprattutto, tumori.” Queste le notizie drammatiche che ci<br />

giungono da studi approfonditi condotti dal Professor Assennato<br />

dell’Università di Bari su 232 pescatori pugliesi vittime di incidenti tra il 1946<br />

e il ’94. Anche l’ecosistema marino non se la passa bene. Dalle prime indagini<br />

compiute dall’Icram, nonostante la letteratura sull’argomento sia ancora scarsa,<br />

non c’è da stare allegri: i pesci dell’Adriatico sembrano essere particolarmente<br />

soggetti all’insorgenza di tumori, subiscono danni all’apparato riproduttivo e<br />

sono esposti a mutazioni genetiche che portano a generare esemplari mostruosi.<br />

Quali saranno le conseguenze per la salute dei consumatori? Lo sapremo<br />

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