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mare monstrum 2002 - Legambiente

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8. L’erosione della costa<br />

<strong>Legambiente</strong> - Mare <strong>monstrum</strong> <strong>2002</strong><br />

Un metro di spiaggia in meno ogni anno. E’ questo il ritmo implacabile<br />

con cui procede l’erosione di gran parte dei circa 7.500 chilometri di coste<br />

della nostra penisola. Un fenomeno che assume ormai dimensioni<br />

drammatiche, determinato da un utilizzo delle aree costiere da parte dell’uomo<br />

spesso eccessivo e traumatico. La destabilizzazione dell’ambiente costiero è il<br />

frutto bacato di diversi fattori, a partire dall’intensa antropizzazione a fini<br />

turistici e industriali, e dall’impoverimento dell’apporto di materiale solido dei<br />

fiumi al <strong>mare</strong>, determinato dalla massiccia estrazione di materiale dagli alvei e<br />

dagli interventi di regimazione dei corsi d’acqua, che in molti casi si sono<br />

rivelati inutili o dannosi.<br />

Normalmente, infatti, l’azione continua delle onde sulla riva viene<br />

bilanciata dalla formazione di nuove spiagge e banchi di sabbia, a seguito dei<br />

sedimenti trasportati dai fiumi e quindi deposti dal <strong>mare</strong> sulla costa, oppure<br />

dall’interazione di onde e vento con gli ambienti dunali e rocciosi. Questo<br />

processo naturale di reintegrazione viene però notevolmente ostacolato dalle<br />

attività umane. Quando si costruisce una diga lungo un fiume, per esempio, i<br />

sedimenti un tempo trasportati fino al <strong>mare</strong> vengono trattenuti nel bacino<br />

artificiale. Sul banco degli imputati, dunque, la cementificazione dissennata del<br />

territorio che in molti tratti ha interrotto, o ridotto in misura drastica, il<br />

processo naturale di ripascimento delle spiagge. L’attacco alle coste procede<br />

simultaneamente dalla terra ferma e dal <strong>mare</strong>: all’effetto delle infrastrutture<br />

realizzate sui fiumi e delle escavazioni condotte nei loro letti, infatti, si somma<br />

l’impatto di porti e porticcioli protesi sull’acqua, che modificando il gioco delle<br />

correnti marine hanno privato delle loro spiagge zone tradizionalmente ricche<br />

di sabbia. Fanno eccezione alcuni tratti in ripascimento, il più delle volte a<br />

scapito di altri tratti di litorale, come conseguenza della realizzazione di opere<br />

artificiali che hanno modificato la dinamica dei sedimenti.<br />

Questa vera e propria aggressione ai danni dei litorali italiani si traduce<br />

in una costante riduzione delle aree umide della costa e delle dune sabbiose.<br />

Così dei circa 700mila ettari di paludi costiere esistenti in Italia all’inizio del<br />

XX secolo, nel 1972 ne restavano 192mila e nel 1994 meno di 100mila. Stesso<br />

discorso sul fronte dei sistemi dunari, la cui perdita è stata altissima in tutti gli<br />

Stati che si affacciano sul Mediterraneo, Italia in testa: quattro quinti delle dune<br />

della penisola, infatti, nel periodo compreso tra il 1900 e il 1990 sono state<br />

perdute. L’erosione delle coste interessa tutte le regioni bagnate dal <strong>mare</strong>, ma<br />

la situazione risulta essere particolarmente grave in Calabria e Campania, dove<br />

la maggioranza della fascia costiera è caratterizzata da un rischio molto<br />

elevato. Arenili che in passato godevano di notevoli spazi in profondità per<br />

stabilimenti balneari e file di ombrelloni, infatti, a distanza di pochi decenni<br />

sono ridotti a strette lingue di sabbia.<br />

Di fronte a questo quadro a tinte fosche, le istituzioni, come troppo<br />

spesso accade, invece di svolgere il ruolo di vigilanza di loro competenza, in<br />

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