12 ANSELM GERHARD Anonimo, Robert Dudley, 1° conte di Leicester (c. 1576). Olio su tavola. Londra, National Portrait Gallery. Leicester (c. 1532-1588) partecipò al tentativo, dopo la morte di Edoardo VI (1553), di dare la corona a Jane Grey (la protagonista di Giovanna Grey di Vaccai e di altre opere ottocentesche). Dapprima incarcerato e condannato a morte, fu poi liberato da <strong>Maria</strong> I. Divenne il favorito di Elisabetta, e fu sospettato di uxoricidio (1560) alla morte della moglie, Amy Robsart (altra eroina operistica, che compare tra l’altro, insieme col marito ed Elisabetta, nel Castello di Kenilworth di <strong>Donizetti</strong>, su libretto di Tottola da Kenilworth di Scott). Rivale politico di Lord Cecil, promosse una politica di sostegno ai protestanti olandesi e ugonotti. Nel 1563, su suggerimento di Elisabetta, vi furono trattative per un matrimonio di Leicester con <strong>Maria</strong> <strong>Stuarda</strong>, regina di Scozia e vedova di Francesco II di Francia, ma <strong>Maria</strong> rifiutò e sposò due anni dopo il cattolico Henry Stuart, Lord Darnley.
«COME IN LUI RUGGISSE L’ANIMA DRAMMATICA DI SCHILLER» sarebbe mai più stato attivo nel teatro <strong>musica</strong>le – significa né più né meno che si dovrebbe considerare <strong>Donizetti</strong> quale vero librettista di <strong>Maria</strong> <strong>Stuarda</strong>. Come più tardi un Piave o un Ghislanzoni nella collaborazione col volitivo Verdi, Bardari si sobbarcò palesemente solo la versificazione di un trattamento in prosa già steso da <strong>Donizetti</strong> in forma definitiva (benché non conservato). 5 Anche qui un documento coevo non lascia dubbi circa l’asimmetrica divisione del lavoro: l’impresario <strong>La</strong>nari comunicò a Girolamo Marini, futuro librettista del Templario di Otto Nicolai (1840), di non aver bisogno di lui per la riduzione della <strong>Maria</strong> Stuart di Schiller, perché già Bardari stava lavorando all’opera di <strong>Donizetti</strong> «sotto sua dettatura». 6 Dalla genesi inconsueta di questo libretto napoletano del 1834 discendono almeno due conseguenze. Nei versi di Bardari manca anzitutto con ogni evidenza quell’eleganza classicheggiante che un Felice Romani aveva finora saputo garantire ai precedenti libretti donizettiani, come farà più tardi Salvadore Cammarano; perfino nell’eleganza sintattica lo stile dell’elaborazione schilleriana di Bardari si atteggia in maniere assai più accademiche rispetto ai più fortunati libretti degli anni Trenta. <strong>La</strong> seconda conseguenza dell’iniziativa donizettiana fu un’insolita concisione: perfino nella versione milanese del 1835, arricchita di un duetto fra <strong>Maria</strong> e Leicester, l’opera contiene due ore e un quarto di <strong>musica</strong>, mentre l’Anna Bolena del 1830 – tanto affine per materia e basata appunto su un libretto di Felice Romani – dura quasi tre ore. Con <strong>Maria</strong> <strong>Stuarda</strong> siamo di fronte alla prima opera tragica donizettiana che realizza il principio drammaturgico di un’espressione il più possibile sintetica con la medesima radicalità imposta dal Verdi degli ultimi anni Quaranta. Essa si distingue in modo rivoluzionario dalla sequenza temporale sovraccarica, quasi ancora ancien régime, di opere come Semiramide di Rossini o la stessa Anna Bolena di <strong>Donizetti</strong>. Di questo dimagrimento è responsabile soprattutto il drastico intervento sull’archetipo schilleriano. L’atto primo fu completamente eliminato e molte importanti figure maschili vennero condensate in Leicester, sicché sopravvisse unicamente il triangolo formato dalle due rivali in competizione per l’amore dello stesso uomo. Inoltre la scena finale si concentra soltanto sul destino di <strong>Maria</strong>: scompaiono i dubbi e i rimorsi nutriti dalla regina Elisabetta, come, con abbondanza di sfumature, li aveva rappresentati Schiller. Nella radicale riduzione dell’intreccio a un rapporto triangolare di relativa semplicità, il modello drammaturgico di <strong>Donizetti</strong> segue oltretutto una tradizione già percepita come antiquata negli anni Trenta. Lo chiarisce un commento più tardo dello stesso <strong>La</strong>nari. Nel 1837, durante le trattative per programmare alla <strong>Fenice</strong> <strong>Maria</strong> di Rudenz, nuova opera di <strong>Donizetti</strong>, il potente impresario suggerì al compositore di rivolgere ai funzionari del teatro veneziano la seguente richiesta: 5 Cfr. LUCA ZOPPELLI, Tragisches Theater und Oper: Manzoni, <strong>Donizetti</strong> und Schillers «<strong>Maria</strong> Stuart», «Schweizer Jahrbuch für Musikwissenschaft», n.s. 22, 2002, pp. 295-311: 301-302. 6 Lettera di Alessandro <strong>La</strong>nari a Girolamo Marini del 15 luglio 1834, citata da MARCELLO DE ANGELIS, Le carte dell’impresario: melodramma e costume teatrale nell’Ottocento, Firenze, Sansoni, 1982, p. 49, n. 13; cfr. anche ID., Le cifre del melodramma. L’archivio inedito dell’impresario teatrale Alessandro <strong>La</strong>nari nella Biblioteca nazionale centrale di Firenze (1815-1870). Catalogo, Firenze, <strong>La</strong> nuova Italia, 1982, I, p. 303. 13
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