Gaetano Donizetti Maria Stuarda - musica ... - Teatro La Fenice
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LXII «ATTO SECONDO».<br />
PARTE TERZA LXII<br />
SCENA PRIMA<br />
Galleria come nella prima parte. LXIII<br />
<strong>La</strong> REGINA sedendo ad un tavolino sul quale è un foglio,<br />
e CECIL in piedi<br />
CECIL<br />
E pensi? E tardi? E vive31 chi ti sprezzò? Chi contro te raguna<br />
Europa tutta, e la tua sacra vita<br />
minacciò tante volte?<br />
ELISABETTA<br />
minacciò tante volte?Alla tua voce<br />
sento piombarmi al core<br />
tutto il poter del mio deriso onore.<br />
Ma… oh Dio! chi mi assicura<br />
da ingiuste accuse?<br />
CECIL<br />
da ingiuste accuse?Il cielo, e la devota<br />
Albione, e il mondo intero,<br />
ove la fama de’ tuoi pregi suona,<br />
e del cor di <strong>Stuarda</strong>, e dei delitti,<br />
e delle ingiurie a te recate…<br />
ELISABETTA<br />
e delle ingiurie a te recate…Ah! taci…<br />
oltraggiata son io… Come l’altera!<br />
come godea del breve suo trïonfo!<br />
Quai sguardi a me lanciava! Ah! mio fedele,<br />
io voglio pace, ed ella a me l’invola…<br />
CECIL<br />
Né di turbarti ancora<br />
cessa se vive.<br />
ELISABETTA (con impeto)<br />
cessa se vive.Ho risoluto… mora.<br />
(Prende la penna per segnare il foglio: poi si arresta<br />
indecisa, e si alza)<br />
Quella vita a me funesta32 io troncar, troncar vorrei,<br />
ma la mano, il cor s’arresta,<br />
copre un velo i pensier’ miei.<br />
Veder l’empia, udirla parmi<br />
atterrirmi, spaventarmi,<br />
e la speme della calma<br />
minacciosa a me involar.<br />
Giusto ciel! tu reggi un’alma<br />
facil tanto a dubitar.<br />
LXIII In partitura, e nel libretto autografo, questa scena è ambientata negli «Appartamenti di Elisabetta in Westminster».<br />
Alla Scala probabilmente si recuperò la scena della parte prima per ridurre le spese di allestimento.<br />
31 n. 7. «[Scena e terzetto]» (Andante – , Do). <strong>La</strong> parte terza (atto secondo in partitura) si apre mostrando Elisabetta<br />
nuovamente intenta a meditare sulla sorte che attende la <strong>Stuarda</strong>. L’immagine pensierosa della regina è affidata<br />
ad una cellula su ritmo puntato che attraversa le diverse sezioni orchestrali presentando impasti timbrici di<br />
volta in volta differenti (contrabbassi e viole, violini secondi e fagotto, violini primi e clarinetto, violoncelli e oboe<br />
ecc.). Questa figura caratterizza l’intera introduzione strumentale e torna più volte nel corso del recitativo. Cecil<br />
vuole convincere la regina a firmare la condanna e, dopo vari tentativi di fronte ai quali Elisabetta si mostra dubbiosa,<br />
gioca la carta dell’insulto che <strong>Maria</strong> le ha arrecato nell’incontro a Forteringa. Inizialmente la regina tenta<br />
di scacciare quel pensiero («Ah! taci…» (Allegro), ascesa della linea vocale per terze, e picchettati degli archi), ma,<br />
presa coscienza dell’oltraggio subito (salto d’ottava discendente), il suo pensiero accelera verso la condanna (la figura<br />
iniziale ricompare con maggiore frequenza e timbricamente più densa: <strong>Donizetti</strong> annota «affrettando»). Decide<br />
infatti di firmare la sentenza, ma di nuovo si arresta.<br />
32 Anche il tempo d’attacco è dominato dai dubbi di Elisabetta, espressi nella lunga strofa iniziale dal piglio cabalettistico<br />
(Allegro – , Mi ). Sullo stesso sostegno orchestrale si sviluppa altresì la risposta di Cecil. Giunge Leicester,<br />
il duetto evolve in terzetto ed Elisabetta decide di firmare (su una frase degli archi spezzata da un accordo<br />
a piena orchestra). Leicester è incredulo, ma Elisabetta lapidaria replica: «Sì! <strong>La</strong> sentenza, o traditor…». Le parole<br />
sono pronunciate su un terribile accordo di settima diminuita (svolto anche melodicamente nella linea vocale),<br />
in fortissimo, a piena orchestra, con tanto di rullo di timpani: ad esso si contrappone immediatamente un lunghissimo<br />
<strong>La</strong> 4 dell’oboe che, nella sua purezza, diviene simbolo dell’innocenza di chi deve subire la condanna.