Gaetano Donizetti Maria Stuarda - musica ... - Teatro La Fenice
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22 «Euer Kerker / ist nur um ein klein wenig es erweitert».<br />
GUIDO PADUANO<br />
gli consegna il messaggio e il ritratto di <strong>Maria</strong>. Leicester dichiara il proprio amore per<br />
lei – motivandolo anche, non senza ingenuità, con l’affronto che Elisabetta gli ha fatto<br />
progettando il matrimonio «francese» – ma oppone agli infuocati propositi di liberare<br />
la prigioniera una prudenza che delude il giovane entusiasta.<br />
Nel duetto di <strong>Donizetti</strong> è invece Leicester, dopo aver ricevuto con commozione messaggio<br />
e ritratto («Ah, rimiro il bel sembiante»), a ereditare dal Mortimer di Schiller<br />
l’ambizione al martirio:<br />
E se mai vittima<br />
cader degg’io,<br />
del fato mio<br />
superbo andrò.<br />
Nel breve colloquio tra Elisabetta e Leicester in chiusura dell’atto secondo di Schiller<br />
(II.9), Leicester persuade la regina a vedere <strong>Maria</strong>, suggerendole d’intendere questa<br />
non come una concessione, ma come una punizione, perché il confronto fisico fra le due<br />
donne parlerà a favore di Elisabetta. Leicester rivendica questa vittoria come dovuta alla<br />
femminilità di Elisabetta, di cui è il solo a preoccuparsi mentre chi le ha sconsigliato<br />
l’incontro pensa solo all’utilità dello stato, e arriva a manifestare stupore per il fatto che<br />
<strong>Maria</strong> <strong>Stuarda</strong> sia la più giovane delle due. Che tutta questa argomentazione sia ipocrita<br />
è denunciato dal fatto che il culmine dell’umiliazione di <strong>Maria</strong> dovrebbe consistere<br />
proprio nella cosa che più ha addolorato lo stesso Leicester, come ha sinceramente<br />
confessato a Mortimer: il matrimonio di Elisabetta con un principe della casa reale di<br />
Francia, che toglie alla rivale l’esclusività di cui andava tanto orgogliosa.<br />
Abbiamo già visto invece, anticipando l’enunciazione di quello che mi pare il nucleo<br />
fondante della transcodificazione, che la posizione del tenore è capovolta nel duetto con<br />
Elisabetta che chiude la parte prima di <strong>Donizetti</strong> (I.5/I.5), con l’assolo che è proprio in<br />
lode della bellezza di <strong>Maria</strong>, «Era d’amor l’immagine», e con la conseguente furibonda<br />
disperazione di Elisabetta. Tra i due finali resta in comune solo la scelta pragmatica<br />
che in tutti e due i casi conduce all’argomento dell’atto successivo, centrale per entrambi<br />
i testi e imperniato sul confronto fra le due donne.<br />
IV<br />
L’atto terzo di Schiller riporta in scena <strong>Maria</strong> e la nutrice (III.1), ma lo sfondo è cambiato,<br />
ampliandosi allo spazio del parco, aperto dunque o libero: come dice Hanna, è non<br />
più che l’illusione della libertà («Il vostro carcere si è solo un po’ allargato» 22 ), ma sufficiente<br />
a inebriare <strong>Maria</strong> di un contatto con la natura, saturo di connotazioni affettive.<br />
<strong>La</strong> prima di esse concerne il recupero del passato felice: il suo sguardo si perde all’orizzonte,<br />
da un lato verso i confini del suo regno, dall’altro verso la terra della sua giovinezza,<br />
la douce France. Appena dopo, il sogno di libertà diventa speranza del futuro, e