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Gaetano Donizetti Maria Stuarda - musica ... - Teatro La Fenice

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38<br />

22 «Euer Kerker / ist nur um ein klein wenig es erweitert».<br />

GUIDO PADUANO<br />

gli consegna il messaggio e il ritratto di <strong>Maria</strong>. Leicester dichiara il proprio amore per<br />

lei – motivandolo anche, non senza ingenuità, con l’affronto che Elisabetta gli ha fatto<br />

progettando il matrimonio «francese» – ma oppone agli infuocati propositi di liberare<br />

la prigioniera una prudenza che delude il giovane entusiasta.<br />

Nel duetto di <strong>Donizetti</strong> è invece Leicester, dopo aver ricevuto con commozione messaggio<br />

e ritratto («Ah, rimiro il bel sembiante»), a ereditare dal Mortimer di Schiller<br />

l’ambizione al martirio:<br />

E se mai vittima<br />

cader degg’io,<br />

del fato mio<br />

superbo andrò.<br />

Nel breve colloquio tra Elisabetta e Leicester in chiusura dell’atto secondo di Schiller<br />

(II.9), Leicester persuade la regina a vedere <strong>Maria</strong>, suggerendole d’intendere questa<br />

non come una concessione, ma come una punizione, perché il confronto fisico fra le due<br />

donne parlerà a favore di Elisabetta. Leicester rivendica questa vittoria come dovuta alla<br />

femminilità di Elisabetta, di cui è il solo a preoccuparsi mentre chi le ha sconsigliato<br />

l’incontro pensa solo all’utilità dello stato, e arriva a manifestare stupore per il fatto che<br />

<strong>Maria</strong> <strong>Stuarda</strong> sia la più giovane delle due. Che tutta questa argomentazione sia ipocrita<br />

è denunciato dal fatto che il culmine dell’umiliazione di <strong>Maria</strong> dovrebbe consistere<br />

proprio nella cosa che più ha addolorato lo stesso Leicester, come ha sinceramente<br />

confessato a Mortimer: il matrimonio di Elisabetta con un principe della casa reale di<br />

Francia, che toglie alla rivale l’esclusività di cui andava tanto orgogliosa.<br />

Abbiamo già visto invece, anticipando l’enunciazione di quello che mi pare il nucleo<br />

fondante della transcodificazione, che la posizione del tenore è capovolta nel duetto con<br />

Elisabetta che chiude la parte prima di <strong>Donizetti</strong> (I.5/I.5), con l’assolo che è proprio in<br />

lode della bellezza di <strong>Maria</strong>, «Era d’amor l’immagine», e con la conseguente furibonda<br />

disperazione di Elisabetta. Tra i due finali resta in comune solo la scelta pragmatica<br />

che in tutti e due i casi conduce all’argomento dell’atto successivo, centrale per entrambi<br />

i testi e imperniato sul confronto fra le due donne.<br />

IV<br />

L’atto terzo di Schiller riporta in scena <strong>Maria</strong> e la nutrice (III.1), ma lo sfondo è cambiato,<br />

ampliandosi allo spazio del parco, aperto dunque o libero: come dice Hanna, è non<br />

più che l’illusione della libertà («Il vostro carcere si è solo un po’ allargato» 22 ), ma sufficiente<br />

a inebriare <strong>Maria</strong> di un contatto con la natura, saturo di connotazioni affettive.<br />

<strong>La</strong> prima di esse concerne il recupero del passato felice: il suo sguardo si perde all’orizzonte,<br />

da un lato verso i confini del suo regno, dall’altro verso la terra della sua giovinezza,<br />

la douce France. Appena dopo, il sogno di libertà diventa speranza del futuro, e

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