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Gaetano Donizetti Maria Stuarda - musica ... - Teatro La Fenice

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PARTE QUARTA<br />

SCENA PRIMA LXXII<br />

Appartamenti di <strong>Maria</strong> <strong>Stuarda</strong> nel castello di Forteringa.<br />

LXXII «III a ».<br />

MARIA sola<br />

<strong>La</strong> perfida insultarmi 36<br />

LXXIII volea nel mio sepolcro, e l’onta intera<br />

su lei ricadde… Oh vile! E non son io<br />

la figlia di Tudorri? E qual trïonfo<br />

36 n. 8. «[Scena e] duetto» (Andantino – , Do).. A questo punto dell’intreccio, <strong>Donizetti</strong> dà un saggio della sua capacità<br />

di sfruttare l’organizzazione del tempo come potente mezzo drammatico. Osservando l’azione a ritroso se ne<br />

percepisce la qualità statica, tenendo conto del fatto che la condanna di <strong>Maria</strong> è determinata fin dal numero introduttivo<br />

e viene continuamente procrastinata, determinando una sorta di cortocircuito dell’azione. Nessuno dei personaggi<br />

rivela poi uno sviluppo psicologico, <strong>Maria</strong> esclusa, ed è particolarmente significativo il ruolo marginale del<br />

tenore, che rimane solo l’amante di <strong>Maria</strong>. Dal canto suo Elisabetta furiosa era nella cabaletta della sua cavatina e<br />

furiosa rimane in quella del terzetto precedente. <strong>La</strong> stasi si traduce formalmente nella brevità delle sezioni cinetiche<br />

dei numeri: tempo d’attacco, talora assente, e tempo di mezzo, spesso semplice ponte tra cantabile e cabaletta, con<br />

l’importante eccezione del finale centrale, ininfluente tuttavia sul corso dell’azione; le sezioni liriche (cantabili e cabalette)<br />

sono poi momenti esclusivamente votati all’espressione degli affetti, temporalmente dilatati. <strong>La</strong> situazione<br />

cambia negli ultimi due numeri dell’opera, dove il fattore tempo illumina inesorabilmente la redenzione di <strong>Maria</strong> e<br />

la sua accettazione della morte. Nel momento in cui Elisabetta firma finalmente la condanna, l’azione vera e propria<br />

dovrebbe dirsi conclusa, ma proprio il contrasto tra la gestione del tempo nei primi sette numeri rispetto agli<br />

ultimi due enfatizza l’evoluzione psicologica di <strong>Maria</strong>, sancendo con essa il vero senso drammatico dell’opera. Questo<br />

percorso ha avvio nel recitativo del duetto e in particolare quando la <strong>Stuarda</strong> tratteggia gli orrori che albergano<br />

nella sua anima («delle mie colpe lo squallido fantasma»). Qui <strong>Donizetti</strong> lascia il recitativo in favore di un andamento<br />

melodico più slanciato, benché teso, mentre la tonalità cupa (mi ), i tremoli di seconda minore degli archi,<br />

e soprattutto i lugubri accordi dei tromboni, traducono sonoramente il terribile racconto:<br />

ESEMPIO 15a (n. 8, bb. 125-128)<br />

LXXIII Aggiunta: «anche».

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