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Gaetano Donizetti Maria Stuarda - musica ... - Teatro La Fenice

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«MA, VINTA, L’ALTERA DIVENNE PIÙ FIERA»<br />

benché la struttura rituale della confessione concerna solo i peccati commessi nel tempo<br />

trascorso dall’ultima confessione, <strong>Maria</strong> fa ancora una volta dolente riferimento alla<br />

morte di Darnley e conclude: «Dio mi concede di espiare con questa morte immeritata<br />

l’antico e grave delitto di sangue». 46<br />

L’antico e grave delitto di sangue è invece l’oggetto ossessivo della confessione nell’opera<br />

di <strong>Donizetti</strong>, allargandosi nello splendido cantabile «Quando di luce rosea». Le<br />

parole «amor mi fe’ colpevole» riprendono i termini di Schiller (sünd’ge Liebe), ma si<br />

riferiscono a Bothwell e non a Leicester, giacché qui l’amore per Leicester non è una<br />

colpa e non viene ripudiato. Anche qui è il confessore a chiamare in causa la colpa giudiziariamente<br />

riconosciuta, e ottiene la stessa professione d’innocenza che era in Schiller,<br />

benché l’infelice dizione della risposta di <strong>Maria</strong> («Taci: fu error fatale») possa per<br />

un momento far pensare il contrario. Ma l’errore è quello dei giudici che hanno prestato<br />

fede a false testimonianze («un denso velo / ha finor coperto il vero»). Segue l’assoluzione<br />

di Talbot, che ha il tono e il ritmo della fede militante («<strong>La</strong>scia contenta al<br />

carcere»), e poi, dislocati a questo punto dopo un cambio di scena, gli episodi dell’orrore<br />

suscitato dal «truce apparato» nel coro dei fedeli di <strong>Maria</strong> e dei suoi lasciti alla<br />

servitù, che sfociano nel breve e splendido concertato «Tolta al dolore» (IV.4-6/II.6-8).<br />

In entrambi i testi giunge a questo punto Cecil, che in Schiller prima nega, poi, su<br />

insistenza di Paulet, concede a <strong>Maria</strong> la grazia di essere accompagnata nell’ultimo tragitto<br />

da Anna (V.8-9); in <strong>Donizetti</strong> quest’ultima frizione è evitata. Resta l’ultimo ed essenziale<br />

contatto fra i due capolavori quando, secondo l’obbligo impostogli da Elisabetta,<br />

si presenta Leicester (Schiller V.9, <strong>Donizetti</strong> IV.8/II.10): l’ironia tragica del<br />

liberatore trasformato in carnefice si risolve in paradossale identità quando la morte è<br />

in effetti intesa quale riconquista della libertà. L’ironia è infatti solo il primo momento<br />

dell’apostrofe di <strong>Maria</strong> in Schiller:<br />

Mantenete la parola, conte di Leicester. Avevate promesso di darmi il vostro braccio per condurmi<br />

fuori dal carcere, e adesso me lo date. 47<br />

Ciò che viene celebrato subito dopo è il congedo dall’amore quale momento essenziale<br />

ed estremo dell’elaborazione del lutto; non a caso a congedo compiuto <strong>Maria</strong> può<br />

affermare di non avere più niente che la trattenga sulla terra:<br />

Sì, Leicester: non solo la libertà io volevo dovere alla vostra mano. Avreste dovuto anche rendermela<br />

cara: volevo godere la nuova vita, felice del vostro amore. Adesso che sono sulla via<br />

di lasciare il mondo e diventare uno spirito beato, non più toccato da nessuna attrazione terrena,<br />

adesso, Leicester, posso riconoscere senza arrossire la debolezza che ho sconfitta. 48<br />

46 «Gott würdigt mich durch diesen unverdienten Tod, / die frühe schwere Blutschuld abzubüssen».<br />

47 «Ihr haltet Wort, Graf Leicester. Ihr verspracht / mit Euren Arm aus diesem Kerker mich / zu führen, und<br />

Ihr leihet mir ihn jetzt».<br />

48 «Ja, Leicester, und nicht bloss / die Freiheit wollt’ ich Eurer Hand verdanken, / Ihr solltet mir die Freiheit<br />

teuer machen, / an Eurer Hand, beglückt durch Eure Liebe, / wollt’ ich des neuen Lebens mich erfreun. / Jetzt, da<br />

ich auf dem Weg bin, von der Welt / zu scheiden und ein sel’ger Geist zu werden, / den keine ird’sche Neigung<br />

mehr versucht, / jetzt, Leicester, darf ich ohne Schamerröten / Euch die besiegte Schwachheit eingestehn».<br />

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