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Gaetano Donizetti Maria Stuarda - musica ... - Teatro La Fenice

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34<br />

GUIDO PADUANO<br />

so tentato regicidio che le viene imputato «mi macchierebbe e mi disonorerebbe. Parlo<br />

di disonorare, non di condannare né di sottoporre a giudizio, giacché tra me e l’Inghilterra<br />

la questione non è il diritto ma la forza». 13<br />

Tutta questa argomentazione è assente nel testo operistico, dove in modo tardivo,<br />

cursorio e un po’ incongruo <strong>Maria</strong> solleva obiezione non alla condanna ma all’ordine<br />

di esecuzione recatole da Cecil (IV.2/II.4):<br />

Così nell’Inghilterra<br />

vien giudicata una regina?<br />

Oh iniqui! E i finti scritti…<br />

L’atto primo di Schiller si chiude con una livida scena (I.8) in cui Cecil tenta di convincere<br />

Paulet (che ha manifestato a sua volta dubbi sulla prassi tenuta nello svolgimento<br />

del processo) a sopprimere silenziosamente la prigioniera, in modo da risparmiare<br />

a Elisabetta l’alternativa fra lasciar vivere una pericolosa nemica e sopprimere la sacra<br />

persona di una regina che è anche sua parente. Di fronte alle resistenze di Paulet, ripiega<br />

sulla richiesta di non opporsi a che altri compia la medesima azione, ma l’onesto carceriere<br />

non deflette. <strong>La</strong> richiesta è presentata quasi ufficialmente per conto della regina,<br />

rappresentata con la figura retorica che gli antichi chiamavano ipotiposi nell’atto di chiedere<br />

aiuto nella sua imbarazzante situazione: il suo ruolo di mandante dell’assassinio si<br />

configura così come analogo a quello di cui viene accusata <strong>Maria</strong> nei suoi confronti, e<br />

omologo anche all’accusa precedente, fondata, di mandante dell’omicidio di Darnley.<br />

III<br />

Le azioni della tragedia e del melodramma si allineano all’altezza dell’atto secondo di<br />

Schiller, dove sono rappresentate le trattative matrimoniali fra Elisabetta e il duca d’Angiò,<br />

che Schiller posticipa di alcuni anni per inglobarle nell’azione drammatica (II.2). 14<br />

Differenza non sostanziale del testo melodrammatico è che non vi sono presenti i dignitari<br />

francesi, l’ambasciatore Guillaume d’Aubespine e l’inviato Pomponne de Bellièvre;<br />

ma in entrambi i casi è essenzialmente ai suoi sudditi che è rivolto il messaggio di<br />

Elisabetta: che essa cioè prende in considerazione la proposta di matrimonio, senza impegnarsi<br />

ad accoglierla, solo per il loro bene e per le loro pressanti richieste (che, specifica<br />

Schiller, investono soprattutto il futuro successivo alla sua morte): altrimenti rifiuterebbe<br />

un marito-padrone.<br />

13 «Mord würde mich beflecken und entehren. / Entehren sag’ ich – keinesweges mich / verdammen, einem Rechtsspruch<br />

unterwerfen. / Denn nicht vom Rechte, von Gewalt allein / ist zwischen mir und Engelland die Rede».<br />

14 Le trattative matrimoniali fra Elisabetta ed Enrico di Valois si svolsero nei primi anni Settanta, quando Enrico<br />

era duca d’Angiò, fratello del re di Francia Carlo IX (Monsieur). Per comodità drammatica Schiller le spostò<br />

al 1587, anno della morte di <strong>Maria</strong> <strong>Stuarda</strong>, continuando tuttavia a parlare di «duca d’Angiò» nonostante dal<br />

1574 Enrico fosse ormai Enrico III re di Francia. In <strong>Donizetti</strong> invece il titolo viene aggiornato e l’imminente matrimonio<br />

di Elisabetta non è con Monsieur, il fratello del re di Francia, bensì col re di Francia stesso (circostanza<br />

piuttosto improbabile dal punto di vista storico politico, ma molto efficace sul piano melodrammatico).

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