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Gaetano Donizetti Maria Stuarda - musica ... - Teatro La Fenice

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20<br />

ANSELM GERHARD<br />

Lo stesso schema ricompare quasi identico nel <strong>La</strong>rghetto del successivo duetto con Leicester<br />

(«Da tutti abbandonata», [II.2]/I.7) – composto in origine da <strong>Donizetti</strong> nel 1833<br />

sulle parole «Vanne… ti scosta, ah! sentimi» per una produzione veneziana della sua<br />

Fausta –, questa volta con un moto ascendente per grado congiunto da <strong>La</strong> a Fa.<br />

Ovviamente nella cabaletta di <strong>Maria</strong> (II.1/I.6) si trovano molti salti intervallari, benché<br />

quasi esclusivamente adagiati su semplicissime triadi arpeggiate. Scelta giustificata<br />

anche dal fatto che al centro di questa scena non vi sono tanto le qualità angeliche della<br />

donna, esaltata da Leicester nel suo primo recitativo come «un angelo d’amor», quanto<br />

l’orgoglio della regina umiliata, ritratta anche – da Schiller ancor più chiaramente che<br />

non da <strong>Donizetti</strong> – come cospiratrice colpevole. Nella cabaletta dell’aria finale<br />

(IV.8/II.10) <strong>Donizetti</strong> riesce a rendere con particolare forza queste qualità contraddittorie<br />

della sua eroina, allorché nella ripresa – in modo del tutto inatteso – fa risuonare in<br />

Si maggiore il motivo che era stato introdotto in Si minore. <strong>Donizetti</strong> teneva molto a<br />

questa sconvolgente transizione minore-maggiore, che Schubert soprattutto ci ha reso<br />

familiare e che a un operista italiano era ben nota dalla preghiera nel finale del rossiniano<br />

Mosè in Egitto. In occasione di una ripresa di <strong>Maria</strong> <strong>Stuarda</strong> a Reggio Emilia e<br />

Modena, egli segnalò con particolare cura questo effetto sorpresa, benché nella partitura<br />

esso sia tanto chiaro da non abbisognare di una speciale sottolineatura: «Badate che<br />

alla seconda ripresa dell’ultima cabaletta entra in maggiore e finisce in minore». 19<br />

Se invece consideriamo i movimenti lenti e lirici degli assoli di <strong>Maria</strong>, i suoi interventi<br />

nell’ultimo quadro si caratterizzano di nuovo per i semplicissimi moti scalari: così<br />

nelle discese diatoniche per grado congiunto nel ‘duetto della confessione’ (<strong>La</strong>rghetto<br />

«Quando di luce rosea», IV.3/II.5), o nell’omologo movimento dell’aria finale («Di<br />

un cor che more reca il perdono», IV.7/II.9); ma anche nell’arioso che precede la preghiera<br />

(«Deh! tu di un’umile», IV.6/II.8), quando <strong>Maria</strong> saluta le proprie «donzelle» con<br />

una semplice ascesa di quarta sulle parole «Io vi rivedo alfin» prima di capovolgerla<br />

specularmente in una discesa sull’espressione rassegnata «Vita miglior godrò». Nell’ultimo<br />

atto la prevalenza dei moti discendenti riveste un’evidente carica semantica: <strong>Maria</strong><br />

ha accettato il proprio crudele destino.<br />

Pertanto il critico della prima milanese colse un dato essenziale quando, in considerazione<br />

di questo melodizzare scorrevole e di semplicità estrema, attribuì al ruolo di<br />

<strong>Maria</strong> una speciale dolcezza: «Dolci versi e dolci note affidaronsi a <strong>Maria</strong> (alla Malibran)<br />

nel suo primo apparire». 20 Nello stesso quadro si colloca anche l’osservazione<br />

che movimenti scalari di analoga dolcezza compaiono nel ruolo di Leicester proprio nei<br />

momenti in cui questi è pervaso dall’amore per <strong>Maria</strong>; ad esempio nella cabaletta così<br />

peculiare del suo duetto «Se fida tanto», con l’ascesa dalla quarta inferiore (Sol) alla<br />

quinta superiore (Sol):<br />

19 Lettera di <strong>Donizetti</strong> a Raffaele Mazzetti, 13 maggio 1837, citata da GUIDO ZAVADINI, <strong>Donizetti</strong>. Vita, musiche,<br />

epistolario, Bergamo, Istituto italiano d’arti grafiche, 1948, p. 428 (n. 235).<br />

20 «<strong>La</strong> Gazzetta privilegiata di Milano», 31 dicembre 1835, cit. dalle Prime rappresentazioni delle opere di<br />

<strong>Donizetti</strong> cit., p. 541.

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